Chi è Victor Osimhen: stipendio, figlia e perché indossa la maschera l'attaccante del Napoli

"Sono entusiasta per questa vittoria"

Chi è Victor Osimhen, dall'Africa a Napoli: «Mi sento un leader e non mollo mai»
di Marco Ciriello
4 Minuti di Lettura
Venerdì 5 Maggio 2023, 08:31

L'harmattan è un vento secco che spinge sabbia e polvere dall'Africa al Sudamerica, oscura il sole, riduce la visibilità, blocca i volti, e quando si alza è devastante: soffia a nordest e ovest, dal Sahara al Golfo di Guinea, e Victor Osimhen lo ricorda. L'harmattan Osi soffiando sui campi d'Italia ha portato il Napoli allo scudetto, scompigliando difese, attraversando aree di rigore e arrivando in porta, per poi uscire e tornarci, con larghe folate. Si è raccontato, ieri: «Sono entusiasta per questa vittoria. Sono felice per me, per la squadra e per la gente. Non vedo l'ora di tornare a Napoli per abbracciare i nostri tifosi. Mi sento un leader e non mollo mai. Futuro? Ora voglio godermi questo momento storico».

Rissa in campo tra i tifosi dell'Udinese e del Napoli: botte e cinghiate, salgono a sette le persone ferite

Si è alzato sui cross dei terzini e delle ali, ha spinto sui passaggi delle altre punte, accumulando gol e punti.

E anche senza il pallone l'harmattan Osi soffia continuamente creando irritazione nei marcatori, esasperando i portieri, e costringendo i centrocampisti al ripiego, perché non sta fermo, mulinella per il campo, strappa palloni, interrompe le impostazioni, e se non proprio come il vento vero che porta alla pazzia, l'attaccante del Napoli comunque conduce all'esasperazione. È questo Victor Osimhen: un vento che genera gol e tormenti. E che spesso soffiando in modo scomposto si infrange e rompe, si ferisce, divide, ma poi ritrova la sua naturale signorilità tornando a spazzare via tutto quello che trova: palloni, porte, portieri. Da vento si infila ovunque: passa sotto le gambe, sopra le teste, di lato ai corpi, e non si ferma mai. Potenza, geometria e disinvoltura nell'inganno. Saccheggia le aree. Salta gli ostacoli. Indovina le traiettorie. Ermetismo e realismo che si incarnano nell'attaccante con la maschera, divenuta griffe, icona, identificazione della città di Napoli. La maschera del supereroe della Marvel, fatto di vento, è stata ovunque: dal Vesuvio alle pizze, e dove non c'è stata ancora ci sarà. In una semplificazione sentimentale Osimhen e dopo la sua maschera sono diventati il simbolo del terzo scudetto del Napoli. Considerato il suo catalogo di gesti calcistici e le conseguenti emozioni, Osimhen è stato l'interprete principale della vittoria, tanto che quando è mancato pur vincendo la squadra ha dovuto reinventarsi, arrangiarsi, perché mancando l'harmattan Osi mancavano le spinte, gli scompigli e qualche volta anche i gol. Verrà ricordato a lungo proprio perché portatore di elettricità come pochi altri calciatori, non a caso l'unica contrapposizione calcistica possibile è con Erling Haaland.

Ma il vento non ha paura di nulla, e non teme le botte, i muri, i canyon. Anzi, per ogni botta, muro, canyon ha saputo acuire la sua sensibilità tornando più forte e abile e preciso nelle scudisciate. La sua poetica è da calciatore scombinato, oscillante, ballerino, un saltimbanco dell'area di rigore, sbilenco e per questo imprendibile: sia quando salta per colpire di testa che quando taglia per calciare di destro. L'insolito attaccante ha trovato esattezza solo nel gol. Regolarizzando tutta la sregolatezza che lo precede. Un ossimoro. Ma non si può chiedere al vento d'essere ordinato, il vento soffia e fa come gli pare. Nel suo assolutismo, nella sua disgregazione, nella sua intrattabilità sta il neapolitan style. Da individualista irresponsabile come era apparso è diventato collettivista indispensabile tra movimenti con palla e senza, ricettore di palloni di qualunque tipo corti, lunghi, alti, bassi e amministratore dell'attacco, che lo ha portato a interiorizzare, assimilare ed esplicitare la condizione di leader. Ora lo sa, ma non ha smesso di divertirsi. Il vento non può smettere. Né si è moderato. Anzi, ha aumentato il grado di aggressività, il suo calcio selvaggio si è fatto canone, linguaggio, gol e brividi. E ora è anche titolo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA