Tardelli e quell'urlo a Madrid: i 60 anni di una leggenda

Marco Tardelli
di Giacomo Perra
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Mercoledì 24 Settembre 2014, 16:08 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 16:13
A volte basta poco per entrare nella storia. D’altronde la gloria vive di attimi e tutto il resto, carriere esemplari comprese, pi che noia, sono contorno. A Marco Tardelli, che oggi compie sessant’anni, per diventare un mito fu necessario un urlo, il più famoso al mondo dopo quello di Münch. Madrid, 11 luglio 1982: dopo un’azione spettacolare completata dal passaggio illuminante del compagno di club e amico Gaetano Scirea, Tardelli infila la porta dei tedeschi con un diagonale di sinistro. È la rete del due a zero a cui segue, solo cronologicamente ma non nell’impeto dei ricordi di tutti i tifosi italiani, quel raptus di sana, esultante follia che consegna l’allora centrocampista juventino alla leggenda e praticamente la Coppa del Mondo all’Italia di Bearzot. Tu chiamale se vuoi emozioni, le più grandi sicuramente anche per chi come Tardelli ha avuto la fortuna di vincere tutto.



Prima della fama planetaria e di quella fantastica sera di mezza estate però, per “Schizzo”, come lo chiamavano tutti, c’era stata una breve ma significativa gavetta: gli eroi - è quasi una regola scritta - devono sempre un po’ soffrire. Nato a Capanne di Carregine, piccolo centro in provincia di Lucca, Tardelli infatti comincia la sua avventura da professionista in Serie C, nella vicina Pisa, dove per guadagnarsi da vivere aveva lavorato anche come cameriere in un ristorante di piazza dei Miracoli: due stagioni che preludono all’approdo in B nelle fila del Como. Nel 1975, poi, a soli ventuno anni ecco la chiamata del grande calcio: voluto fortemente da Boniperti, Tardelli passa alla Juve, club nel quale rimarrà dieci stagioni conquistando tutti gli allori possibili e immaginabili: 5 scudetti, 2 Coppe Italia, una Supercoppa Europea e la Coppa dei Campioni nella triste serata dell’Heysel.



Finita la sua storia d’amore con i bianconeri, il centrocampista toscano, un concentrato di grinta, tecnica, dinamismo e sacrificio come forse mai si è visto nel calcio italiano, si trasferisce a Milano, sponda nerazzurra: tre campionati, senza particolari squilli, che precedono l’annata col San Gallo -1987-88 -, in Svizzera, e l’addio al calcio giocato. Al 1985, invece, risaliva l’ultima partita con la maglia della Nazionale con cui totalizzò 81 presenze e 6 reti.



Appese le scarpe al chiodo, il prode Marco provò a ritagliarsi una carriera da gigante anche in panchina: missione fallita, purtroppo. Se si eccettua il campionato europeo conquistato in Slovacchia nel 2000 alla guida dell’Under 21, “Schizzo” non ha avuto grande fortuna nei panni di allenatore. All’Inter lo ricordano per aver perso per 6-0un derby nella primavera del 2001; Bari, Egitto e Arezzo poi non furono tappe propriamente memorabili. Più soddisfacente invece l’esperienza da viceallenatore dell’Irlanda al seguito del maestro “Trap”, suo tecnico alla Juve. Niente a che vedere, comunque, con quell’11 luglio del 1982 e con quell’esultanza leggendaria: nel bene, soprattutto, ma anche nel male di una limitazione, Marco Tardelli resterà per sempre quello dell’urlo di Madrid.