«L'uomo della rivoluzione», Oriali ricorda Johan Cruijff: «La stella che ha cambiato il calcio»

«L'uomo della rivoluzione», Oriali ricorda Johan Cruijff: «La stella che ha cambiato il calcio»
di Mimmo Ferretti
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Sabato 26 Marzo 2016, 09:33 - Ultimo aggiornamento: 15:42
«Sapete quante volte mi hanno rinfacciato quella figuraccia nella finale di Coppacampioni del 1972? Beh, ho perso il conto... Però, vi garantisco una cosa: per me è stato un onore, e un grandissimo piacere, misurarmi con Cruijff. Anche se non l’ho mai preso, anche se ci ha fatto due gol e ci ha mandato a casa con le ossa rotte...», racconta Gabriele Oriali, numero 4 di quell’Inter battuta («Strapazzata...») il 31 maggio di 44 anni fa a Rotterdam dall’Ajax di Johan Cruijff, scomparso giovedì.
Immarcabile?
«Guardi, era complicato contenerlo e assolutamente impossibile marcarlo».
Che cosa aveva Cruijff che gli altri non avevano?
«Un grande tecnica individuale abbinata ad una rapidità di movimento, di azione che lo rendeva imprendibile. A distanza di tanti anni da quella partita, lo ripeto, io continuo a pensare che per me è stato un onore, e non un disonore, affrontarlo».
Il primo falso nueve della storia del calcio?
«Esatto, ma Cruijff non era soltanto un centravanti pur essendo nominalmente un centravanti. Lui sapeva far tutto, davanti e dietro, e rendeva quell’Ajax, e anche la nazionale olandese, espressioni di calcio uniche. Rivoluzionarie, se vogliamo. Sia da un punto di vista tecnico che, soprattutto, tattico».
La massima espressione dell’uomo-squadra, in sostanza.
«Cruijff faceva la giocata, sempre con estrema naturalezza, ma mai per se stesso: tutto era fatto in funzione del gruppo. Un gruppo fantastico, all’interno del quale c’erano giocatori straordinari, di cui Cruijff era la stella».
Cruijff ha cambiato il calcio?
«Lui ha contribuito, grazie anche i compagni dell’Ajax, a cambiare un modo consolidato di fare calcio. Prima di quel periodo parole come pressing, fuorigioco, squadra corta e come calcio totale non si erano mai sentite. Non esistevano. Cruijff ha portato novità sostanziali sul piano tattico sfruttando testa e gambe».
Gambe?
«Prendeva la palla, ti faceva mezza finta e poi scattava. Poi, durante lo scatto, scattava di nuovo. Ditemi: come potevi marcarlo uno così? In quella finale di Rotterdam io giocai una partita correttissima, nessun fallo, nessuna entrata cattiva. Ma come potevo picchiarlo se non lo prendevo mai?...».
Nella sua classifica dei più grandi di sempre, dove lo piazza?
«In carriera ho avuto la possibilità di misurarmi con Maradona, Platini, Zico... Cruijff lo considero il più forte europeo di tutti i tempi, e tra i primi tre al mondo».
Il Profeta del gol...
«In quel film di Sandro Ciotti ci sono anche io che parlo di Cruijff, raccontando la mia esperienza di quella finale... Quando lo affrontai a Rotterdam io avevo 19 anni, lui era all’apice della carriera: a fine partita gli chiesi la maglia e lui la scambiò molto volentieri con me perché, ma questo l’ho saputo anni dopo, mi ero comportato con lui con grande sportività. E quella maglia numero 14 la conservo ancora gelosamente, e spero che da qualche parte a casa sua ci sia ancora la mia...».
Un calciatore straordinario e poi un allenatore fantastico.
«E non è mai facile per chi è stato fortissimo sul campo esserlo anche in panchina. Cruijff, invece, ci è riuscito continuando ad insegnare quello che aveva conosciuto e imparato da calciatore. Calcio totale, possesso palla ad altissima velocità, ruoli spesso non definiti... Avete presente il Barcellona, no? Ha portato avanti i principi della sua Olanda, li ha insegnati trovando terreno fertile e creando un modo nuovo di fare calcio».
Oriali, che ricordo ci lascia?
«Lascia in dote a tutto il movimento il suo senso del bello e utile; la sua capacità di produrre calcio in continua evoluzione. Lascia l’esempio di un campione infinito che giocava sempre per gli altri».
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