ROMANO E ROMANISTA
L’accento di Malfatti è toscano, ma il cuore è romano. E romanista. «Sono di piazza San Cosimato, Trastevere. A 6 anni mi sono dovuto trasferire con mio padre ma il cuore è rimasto a Roma ed è giallorosso». Con quei colori addosso Attila ha vinto uno scudetto, l’ultimo dell’era Viola. Quello con la Primavera 1989/90 e, chi ne ha memoria, ricorda il talento cristallino del trequartista Malfatti: «Eravamo una squadra fortissima. C’erano Muzzi, Maini, Berretta, Statuto, il capitano Anastasi, Petruzzi. Siamo rimasti amici e quando possiamo ci incontriamo. Ricordo come fosse ieri la premiazione, con Viola che ci dà la medaglia. E anche la prima squadra, quella della stagione al Flaminio causa Olimpico in ristrutturazione per i mondiali Italia ‘90, era gagliarda. C’erano Bruno Conti, Giuseppe (Giannini, ndr), Cervone, Voeller, Manfredonia, Nela, Berthold». Da Viareggio alla Roma lo riportò Giuseppe Luciano Lupi, all’epoca responsabile del settore giovanile giallorosso: «Mi notò in Interregionale (oggi serie D, ndr), avevo solo 15 anni ma ero titolare». Dopo la Roma, Malfatti giocò in C a Trani, poi Spezia e Carrarese. «Ho avuto la mia onesta carriera. Quella serie C era tosta. Allo Spezia trovai Faccini, tanto per dire, uno che ha vinto lo scudetto con la Roma di Falcao», firmando il primo gol di quella stagione d’oro 82/83. Poi lo stop a 31 anni e l’inizio, nel 2003, di una carriera da allenatore consumata quasi tutta alla Juventus: «Ci sono rimasto 14 anni facendo tutte le categorie fino agli Allievi nazionali», quindi l’esperienza come vice di Massimo Carrera in Russia, allo Spartak Mosca e l’approdo allo Zilina dove di fatto è diventato allenatore in prima: «Devo fare il supercorso a Coverciano. Chissà quando si potrà ormai». Modulo preferito? «Quello che serve ai giocatori che ho. Conte mi disse: “importante è l’intensità e scegliere i migliori 11, poi viene il modulo”. In Slovacchia fanno tutti il 4-3-3, io ho proposto il 3-5-2 visto che avevo 4 difensori centrali fortissimi». Stasera, sul tardi, il rientro in Italia: «Dormirò in albergo (sarà l’unico cliente, ndr) e poi, con una macchina presa a noleggio, partirò per Torino con le mie autocertificazioni in triplice copia al seguito. A casa dovrò stare in quarantena di due settimane, isolato da mia moglie e dai miei due figlio di 12 e 10 anni. Il più piccolo, Leo, è milanista come la mamma. Tiago, invece, è capitano della under 12 della Juventus, ma è romanista. Come me».
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