Luisa Ranieri è la poliziotta Lolita: quinta di reggiseno e tacco 12

Luisa Ranieri, una poliziotta con la quinta di reggiseno e il tacco 12
di Gloria Satta
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Giovedì 18 Febbraio 2021, 08:39

Una poliziotta con la quinta di reggiseno, il tacco 12, l'accento pugliese (siamo a Bari), l'orgoglio di essere single, una squadra di maschi da domare e una buona dose d'ironia: è la protagonista della serie Le indagini di Lolita Lobosco che, diretta da Luca Miniero, ispirata ai romanzi di Gabriella Genisi (Sonzogno, Marsilio), prodotta da Bibi e Zocotoco, partirà su Rai1 domenica prossima. Dopo il successo della fiction Mina Settembre con Serena Rossi, sbancherà nuovamente l'auditel? Missione più che possibile dal momento che al centro della serie c'è un'esplosiva Luisa Ranieri, 47 anni, due figlie avute dal marito Luca Zingaretti, una carriera spalmata tra cinema (sarà la voce del cartoon Disney Raya e l'ultimo Drago), teatro, tv.

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In attesa di sbarcare sul set di È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino in un ruolo «top secret», Luisa dice: «Portare sullo schermo Lolita era doveroso».
Perché?
«La mia poliziotta incarna una donna in carriera contemporanea che, per risultare autorevole, non è costretta a travestirsi da uomo ma punta sul proprio valore».
E sono molte le donne ad aver capito che questa è la strada giusta?
«Credo di sì, siamo tante. Almeno ci proviamo. Qui e ora. Questo è un momento storico molto importante per riaffermare la nostra identità e, soprattutto, la nostra femminilità che non merita di essere sminuita o nascosta».
A lei è capitato di nasconderla?
«Certo. Da ragazzina, sempre. Perché temevo il mio corpo, ero in conflitto con la mia fisicità. Consideravo la mia bellezza un'arma a doppio taglio».
In che senso?
«Avevo il permesso di uscire soltanto con mio fratello e i suoi amici.

Tutti maschi. E la mia femminilità prorompente creava imbarazzo. Così, per stare con loro, mi travestivo da maschiaccio, giocavo con le figurine e il pallone. Ma mi facevo un torto, quella non ero io».

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Quando ha fatto pace con il suo sex appeal?
«Da adulta, dopo anni di disagio che mi facevano sentire imprigionata in un corpo sbagliato. L'arrivo delle mie figlie Emma e Bianca ha definitivamente aggiustato tutto».
La società è pronta a superare i pregiudizi contro le donne che vogliono affermarsi senza rinnegare sé stesse?
«Sì e no. Forse dobbiamo fare un passo avanti anche noi femmine. La mia generazione combatte per il futuro delle nostre figlie, perché si sentano libere e rispettate senza aver bisogno di urlare».
Ha cercato ispirazione per interpretare Lolita?
«Non tanto, il libro già descrive con efficacia il personaggio. Dopo il lockdown, avevo bisogno di leggerezza. E mi sono lasciata andare, pur essendo di solito un'attrice bacchettona che prepara meticolosamente ogni ruolo».
Leviamoci il dente: lei fa Lolita, suo marito è Montalbano. Due sbirri in famiglia significano rivalità assicurata?
«Ma quando mai. Chi pensa che Lolita sia la risposta femminile a Montalbano, così diverso da lei per ispirazione e ambientazione, non ha capito niente. Luca e io ci spalleggiamo, abbiamo creato la casa di produzione Zocotoco per il piacere di condividere anche il lavoro. La sua serie è stata vista da 2 miliardi di persone nel mondo intero. Magari Lolita avesse lo stesso successo».
Cosa ha messo di suo nel personaggio?
«Di sicuro una battuta che il mio personaggio dice al suo sottoposto: Voi uomini non capite niente. È la celebrazione dell'intuito femminile, imbattibile».

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Nella serie lei ha una storia con un uomo molto più giovane: sdoganato anche il toyboy?

«Piano piano i pregiudizi scompaiono. Se siamo arrivati alla prima serata di Rai1, è un segno dei tempi e presto una situazione del genere verrà accettata da tutti».
Come sta vivendo la pandemia?
«All'inizio l'ho affrontata con sgomento, poi con il piacere di avere del tempo per la famiglia. Adesso però mi sono stancata, come tutti gli italiani ho un bisogno disperato di tornare alla vita sociale. La pandemia somiglia a una punizione divina: ci ha tolto i piaceri lasciandoci solo i doveri. Basta, non se ne può più».

 

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