Scala, la prima del 7 dicembre: un Don Carlos di Verdi che svela i segreti del potere

Non ci sarà il Presidente Mattarella

foto (credit Brescia/Amisano - Teatro alla Scala)
di Marina Cappa
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Martedì 28 Novembre 2023, 15:40 - Ultimo aggiornamento: 18:45

Non ci sarà il Presidente Mattarella, che però – ha assicurato – recupererà con una replica all’inizio dell’anno prossimo, ma il parterre politico sarà ugualmente denso. La prima del 7 dicembre, che apre la stagione scaligera con il Don Carlo di Giuseppe Verdi, è il terzo atto di una trilogia del potere avviata nelle ultime stagioni da Macbeth e proseguita con Boris Godunov. Lo scontro cinquecentesco fra Filippo II re di Spagna e il Grande inquisitore ha un significato anche oggi? «Basta aprire un giornale e leggere ciò che succede in Medio Oriente per capire che l’intreccio fra potere politico e potere della Chiesa è sempre molto pericoloso», risponde il sovrintendente della Scala Dominique Meyer.


Prima di lui, anche il regista dell’opera – lo spagnolo Lluís Pasqual – aveva riportato l’attenzione sul mondo contemporaneo. Da una parte interrogandosi sulla difficoltà a occuparsi di dettagli teatrali in questo momento: «Con quello che succede a Gaza e in Israele, che senso ha preoccuparsi di dove si deve mettere il soprano? Però mi sono risposto che l’unico modo di reagire è fare bene il nostro lavoro. E poi Verdi ci fa vedere dietro le quinte del potere, ne svela i meccanismi come fanno i social mostrando un presidente in costume da bagno, e ci mostra come viene allestita la propaganda, come ancora si fa in Cina o in Corea».

 


Se questo è l’argomento che più sta a cuore al regista, tanti sono però i temi che si intrecciano nell’opera. C’è lo scontro padre e figlio (Filippo II è Michele Pertusi, Don Carlos è Francesco Meli), in nome dell’amore di entrambi per Elisabetta di Valois (Anna Netrebko).

C’è l’amicizia fra il protagonista e il Marchese di Posa, cantato da Luca Salsi, che ricorda come lui e Meli siano realmente amici e negli ultimi anni siano sempre in scena alla prima di Sant’Ambrogio, alternandosi nei ruoli principali. C’è l’amore, nella persona di Elisabetta ma anche in quella della Principessa d’Eboli, ossia la bella Elīna Garanča: «Sono il primo mezzosoprano lettone a inaugurare una prima della Scala, così come forse Eboli è stata una delle poche donne che ha imparato a sopravvivere in un’epoca patriarcale».

Tutti i cantanti ribadiscono che non si tratta di un’opera facile. A partire da Meli, il cui Don Carlo «cambia di continuo umore e stato d’animo, restando in scena sempre e senza avere arie da cantare, infatti è così poco chiaro con se stesso che non potrebbe avere un momento tutto per sé ». Mentre la Netrebko parla della «solitudine e tristezza di Elisabetta, che nasconde un grande peso dentro di sé». A gestire le difficoltà del libretto, e dirigere l’opera di Giuseppe Verdi nell’edizione italiana del 1884 in quattro atti, torna il maestro Riccardo Chailly, che ha ricevuto da Ricordi il manoscritto con le annotazioni del compositore. Ringraziando Netrebko “la leonessa” e  Garanča “la tigre”, Chailly sottolinea comunque che «l’orchestra è protagonista», con una preziosa partecipazione del coro diretto da Alberto Malazzi.

L’ultima parola spetta agli sponsor. E Giacomo Campora, ad di Allianz, alza il tiro: «È fondamentale sostenere Meyer per consentire una programmazione che si evolve nel tempo e permetta al teatro e alla città di continuare a brillare». Ottimo assist in previsione del rinnovo del sovrintendente, ufficialmente in scadenza nel 2025. Risponde l’interessato: «Sono sereno, faccio il mio lavoro e sono felice sia apprezzato dal Cda e dal pubblico».

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