Uomini che uccidono le donne, 8: caccia all'assassino, si traccia l'identikit

Uomini che uccidono le donne, 8: caccia all'assassino, si traccia l'identikit
di Roberto Costantini
6 Minuti di Lettura
Venerdì 19 Agosto 2016, 13:10 - Ultimo aggiornamento: 13:15
IL THRILLER
BALISTRERI
Di recente, la mia vita era diventata sovraffollata, invasa più o meno pacificamente da due donne, una figlia e una compagna. Ora quelle due donne avevano capovolto il senso del finale della mia vita: prima era solo aspettare ora era vivere. Le conseguenze erano di vario tipo. Una era la fine delle mie estati solitarie a Roma. Un cambiamento che non mi dispiaceva per vari motivi, tra cui il fatto che negli ultimi anni ad Agosto iniziato Roma era ancora piena di gente.
Il mio programma per Agosto prevedeva dieci giorni da Bianca in Abruzzo e poi altri dieci da Linda in Kenia. Così, un caso di omicidio a due giorni dalle ferie diventava un problema e dovevo sbrigarmi, partendo dalla ragazza che aveva fatto scoprire il cadavere di Anna, la sua collega in boutique.
Monica Rinaldi era seduta al tavolino del bar sotto la Squadra Mobile con un'agente donna e una bottiglietta d'acqua davanti. Era appena sopra i trent'anni e appena sopra il peso forma, dall'aria molto sveglia ma ora chiaramente impaurita.
«Sono Michele Balistreri, responsabile della Sezione Omicidi.»
Lei deglutì, allungò una mano che io feci finta di non vedere.
«Monica Rinaldi. Sono... ero... la collega di Anna.»
Ci sedemmo, io davanti a lei e Corvu al suo fianco.
«Allora, signorina Rinaldi. Si può sapere perché si è preoccupata così tanto per una banale assenza dal lavoro di Anna al punto da chiamare la Polizia?»
Ero stato brusco per due motivi di ordine diverso. Il primo era che il comportamento della ragazza era stato davvero strano. La seconda era per vedere la reazione di Corvu.
Monica arrossì e Corvu si rabbuiò. Era la reazione di una ficcanaso ma non di un'assassina. E l'altra era la reazione di un protettore e non di un investigatore. E Monica Rinaldi era anche un tipo sveglio e combattivo. Perfetto.
«Senta, io avevo visto Anna stravolta Lunedì pomeriggio in negozio. E mi sono preoccupata. Poi Martedì mi ha telefonato dicendo che non veniva perché stava male e questa mattina non si è presentata ed era irraggiungibile sul cellulare.»
«Che vuol dire che era stravolta?»
Lei esitò e Corvu le si rivolse con la pacatezza di un fratello maggiore.
«Non si deve preoccupare di nulla, signorina. Lei ha fatto benissimo, grazie a lei iniziamo subito l'indagine. Ci dica tutto, tranquillamente. Vuole mangiare qualcosa?»
Finì che Corvu ordinò per lei e per sé due prosecchi e due tramezzini, il che era di per sé straordinario visto che lui non beveva aperitivi alcolici e non mangiava tramezzini. Io ordinai un espresso e mi accesi una Gitanes disobbedendo agli ordini di chi si occupava del mio esofago e dei miei polmoni. Col prosecco la ragazza si fece coraggio.
«Anna era diventata molto strana. Tenga conto che era una bravissima ragazza, molto seria e cauta con gli uomini, pure troppo. Invece negli ultimi due mesi ogni tanto si vestiva in modo provocante e si metteva i tacchi alti prima di uscire dalla boutique la sera. Penso che avesse una relazione ma con me non ne ha mai voluto parlare. E la capisco, io sono un po' ficcanaso, non sono fidanzata e mi occupo dei fidanzati delle altre...»
Era chiaro che questa spiegazione non bastava per tutto quell'allarme. Lei finì il tramezzino e Corvu, che non aveva toccato nulla, le allungò il suo che non aveva toccato.
«Se vuole anche il mio...»
Lei gli fece un sorriso.
«Davvero? Posso?»
«Certo. Anche il prosecco non l'ho ancora toccato, se vuole...»
Lei addentò il secondo tramezzino e riprese a parlare.
«Sembrava felice dopo lo scorso weekend. Lunedì mattina è tornata in negozio, era felice ma un po' preoccupata.»
«Sa dove era andata?»
«Mi ha detto di essere stata a Sabaudia in albergo con amici. Lei voleva andarci da tempo, una nostra cliente ce ne parla spesso. Ma non credo ci sia andata con gli amici.»
«Ed era felice ma preoccupata.»
«Al mattino. Dopo la pausa pranzo è stato un inferno. Lei non faceva altro che provare a telefonare, secondo me a lui, e correre al bagno e io...»
Corvu la incoraggiò.
«Non si deve sentire in imbarazzo...»
«Sono un po' impicciona ma ad Anna volevo bene. Per quello ho origliato fuori dalla porta del bagno. Poverina, sentivo i singhiozzi e anche i conati di vomito.»
Il quadro che si stava delineando era chiaro. Mancava solo una cosa, un volto.
«Lui veniva a prenderla al negozio?»
«No, la aspettava sempre poco lontano, a piazza di Spagna.»
«Quindi lei non l'ha mai visto...»
La ragazza fissava il fondo del secondo analcolico e Corvu fece ciò che avrebbe fatto sia un uomo per bene che un bravo investigatore. Le posò la sua mano leggera sull'avambraccio e le parlò a bassa voce.
«Monica, lei ha fatto solo bene a seguirla, stia tranquilla. Proprio per il bene che voleva ad Anna, ci aiuti a prenderlo.»
Lei non scostò l'avambraccio e guardò lui, ignorando me. Io che conoscevo Graziano Corvu e la sua quasi totale imbranataggine con le donne, potevo capire. A Corvu serviva una ragazza esuberante quanto semplice, capace di trascinarlo fuori dalla sua timidezza e di vedere oltre la sua imbranataggine i suoi immensi pregi. Cose come affidabilità, dedizione, serietà. Quelle cose che non colpivano le donne al primo impatto ma la cui mancanza sentivano dopo.
«Lunedì sera quando abbiamo chiuso la boutique, l'ho seguita. Li ho visti da lontano abbracciarsi in mezzo a piazza di Spagna. Poi hanno preso un taxi e se ne sono andati.»
«Ce lo può descrivere?»
«L'ho visto da lontano e di spalle. Altezza media, bruno, ben vestito, tra i trenta e i quaranta.»
«Se lo vedesse lo riconoscerebbe?»
«No, non l'ho mai visto bene in viso. Potrei riconoscere la corporatura, i capelli, non altro.»
Sapevo che non sarebbe bastato in un tribunale. Ma in un'indagine, se avessimo scoperto chi frequentava Anna Bianchi, sarebbe certamente servito.
RUBINI E COLONNA
Erano ancora seduti lì sul pavimento. Giulia aveva ascoltato impassibile tutta la storia di suo marito con Anna Bianchi dall'incontro fortuito sul treno all'inizio di Giugno sino al bar della stazione Termini Lunedì sera. E ora arrivava il peggio.
«Ci eravamo salutati, lei pensava che prendessi il treno delle nove per Milano. Invece è rimasta lì in zona e mi ha visto uscire dal garage sulla BMW, io non me ne sono accorto. Ha preso la targa e Martedì mattina ha chiamato una sua amica alla Motorizzazione e ha avuto il mio vero nome e l'indirizzo, poi è venuta qui sotto casa nostra e ha visto anche il tuo cognome sul citofono. Quando l'ho chiamata Martedì all'ora di pranzo su skype, sapeva già tutto ma è stata zitta. Mi ha imposto di vederci Martedì sera alle dieci da lei. Per questo ieri sera alle nove e mezza ho simulato la telefonata di mia sorella malata, per lasciarti a casa e andare da lei. Ci sono andato e mi sono trovato davanti l'inferno.»
Giulia non disse nulla e lui provò a giustificarsi.
«Io pensavo che fosse una di queste facili e superficiali, invece era come l'Anna dei tuoi libri...»
Lei lo fissò negli occhi.
«Non esistono quelle facili e superficiali tranne che nelle vostre fantasie, Marco. Ve le immaginate così e quando scoprite che non sono come volete voi, se sono troppo deboli o troppo forti, cosa fate? Le uccidete.»
Lui fece per dire qualcosa ma lei lo bloccò con un'occhiata.
«Meglio se chiamo Nadia Giacobbe. Lei sa come tenere i delinquenti fuori dalla galera.»

8-continua
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