Mario Martone: «Da Capri al teatro India e al Teatro dell'Opera, tutte le mie Revolution»

Il regista Mario Martone con Marianna Fontana sul set del film Capri Revolution
di Simona Antonucci
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Lunedì 3 Agosto 2020, 20:21

«Il Teatro India nacque come palcoscenico per tutte le arti. Ospitammo Ronconi e Ostermeier, ma anche danza, cinema e arte. E trovo intelligente che proprio in questi giorni si trasformi in arena per una rassegna di proiezioni all’aperto. “Capri Revolution”, che parla di utopia e di ideali di libertà, è il titolo, tra tutti i miei film, che più si avvicina all’atmosfera del polo culturale all’Ostiense».

Fondatore del Teatro India nel 1999 (allora era direttore artistico del Teatro di Roma), Mario Martone torna “a casa” per presentare il 4 agosto, alle 21,30, nello storico complesso ex Mira Lanza, uno dei suoi ultimi lavori, in gara alla 75esima edizione della Biennale del Cinema di Venezia. La manifestazione AltraVisione prosegue fino al 23 agosto.

Inaugura una rassegna cinematografica subito dopo aver terminato le riprese, tra Napoli e Roma, del suo ultimo film “Qui rido io”, dedicato al grande commediografo napoletano Eduardo Scarpetta e interpretato da Toni Servillo: si riparte?
«Dopo il set a Chiaia ci siamo trasferiti al Palazzo di Giustizia, qui a Roma, dove siamo rimasti fino a pochi giorni fa. Dovevamo finire a marzo. Con il lockdown abbiamo perso diversi mesi. E riprendere a girare seguendo un protocollo piuttosto complicato di tamponi e analisi sierologiche, non è stato semplicissimo. Ma bisogna ricominciare a lavorare. Ora siamo al montaggio. Poi la post produzione. Dovremmo terminare entro la fine dell’anno. Chissà quale sarà la situazione».

Molti suoi colleghi hanno posticipato le uscite, altri hanno preferito le piattaforme. Lei che cosa ne pensa?
«Non sono contrario all’online, ma ho molta considerazione della sala. E mi auguro che questo mio nuovo film venga visto sul grande schermo».

Lei è stato alla Mostra di Venezia molte volte. Quest’anno, nonostante le normative sanitarie e le restrizioni sulla circolazione tra Paesi, la Biennale ha presentato il suo calendario. Come immagina il festival in tempi Covid?
«Mi sembra ottimo che si faccia. Le ultime edizioni sono state straordinarie. E lo sarà anche questa. Bisogna assolutamente reggere».

Sta già lavorando allo spettacolo che inaugurerà la nuova stagione del Teatro dell’Opera? Si parlava del capolavoro di Mozart “La clemenza di Tito” e ora si prende in esame “Don Giovanni”: quali idee? 
 «Stiamo parlando di un’apertura di stagione all’inizio di dicembre prossimo, al chiuso. Con il coefficiente di difficoltà triplicato. Mentre al cinema i protocolli consentono di stare vicini, a teatro no. E quindi bisogna lavorare su delle visioni. Ma se c’è uno spazio dove l’immaginazione regna sovrana, è proprio il teatro. E noi dobbiamo mostrare una possibilità di relazione».

A proposito di teatro, è stato fatto il suo nome come direttore artistico del Piccolo di Milano.
«Al momento non c’è molto da dire. Fonsatti ha presentato un progetto che prevede la mia direzione artistica. Io sono a disposizione. Vedremo». 


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