Una passione medievale (3)

di Roberto Gervaso
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Giovedì 21 Giugno 2018, 08:12
Purtroppo (capita) Eloisa restò incinta. Abelardo, colto di sorpresa, decise di rapirla, travestita da suora. La condusse in Bretagna dalla sorella Denise, dove la giovane partorì un maschietto, cui il filosofo impose l'eccentrico nome di Astrolabio.

Per Fulberto fu un'altra maledizione, un altro disonore, un vulnus insanabile al suo rango ecclesiastico, al suo orgoglio di uomo, alla sua responsabilità di zio. Non si sarebbe più dato pace, né più l'avrebbe data agli amanti, soprattutto ad Abelardo, l'artefice e, per troppo tempo, il beneficiario, di quel torbido inganno.

Ora il filosofo gli doveva una riparazione drastica: sposare Eloisa, espiando sull'altare, davanti a Dio, l'enorme, inemendabile colpa.

Ma la nipote non era d'accordo. Non voleva che l'amante compisse quel gesto che avrebbe irrimediabilmente contaminato la sua fin allora impeccabile reputazione e compromesso la sua folgorante carriera.

«Quanto sarebbe stato vergognoso confessa Abelardo quanto triste che io, creato dalla natura per il bene di tutti, mi dedicassi a un'unica donna e dovessi sottostare alle molte bassezze della vita coniugale. Eloisa detestava con tutte le sue forze questo matrimonio e sosteneva che sarebbe stato per me infamante e oneroso sotto ogni aspetto».

Lei gli scrisse: «Anche se vuoi ignorare quanto il matrimonio sia di ostacolo allo studio della filosofia, rifletti su cosa significhi convivere, anche legittimamente. Cos'hanno in comune le assemblee degli scolari con le ancelle, gli scrittori con le culle, i libri e le tavolette con i mestoli, gli stili e le penne con i fusi?». E ancora: «Chi, mentre medita su argomenti sacri e filosofici, può sopportare i pianti dei bambini, le nenie delle nutrici che cercano di calmarli, la folla rumorosa dei servi, uomini e donne? Come può tollerare la sporcizia dei neonati, repellente e continua?».

Per opportunismo e pavidità il maestro negò di avere sposato la pupilla, cui si unì in nozze segrete, scatenando l'ira funesta del canonico, che meditò la più atroce delle vendette. Con la complicità di un servo prezzolato e con alcuni familiari penetrò nel cuore della notte in casa del filosofo che stava dormendo e lo evirò.

Racconterà la vittima: mi amputarono la parte del corpo con cui avevo commesso l'infamia che aveva offeso i parenti di Eloisa. I colpevoli fuggirono, ma due vennero catturati. Il castigo spietato, l'accecamento e l'amputazione dei genitali.

La notizia si sparse in un lampo. Da Parigi fece il giro della Francia. Poi tutto il Continente venne a conoscenza della boccaccesca disavventura di cui era stato vittima il filosofo, celebre per la sua castità, non meno che per il suo sapere. «Come avrei potuto mostrarmi in pubblico?» si lamenterà, e non a torto, quando tutti mi avrebbero segnato con il dito? Quando tutti mi avrebbero attaccato con le loro maldicenze, destinato ad essere ai loro occhi uno spettacolo mostruoso?

«Un'altra cosa mi turbava non meno di questa Dio ha un tale orrore degli eunuchi da proibire l'ingresso nella chiesa a coloro che sono stati evirati per amputazione o schiacciamento dei testicoli».

A quel punto alla vittima non restò altro da fare che cercare rifugio in un convento, dopo avere fatto monacare l'appassionata e disperata compagna.
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