C'è salvezza solo nell'espiazione

di Roberto Gervaso
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Venerdì 7 Settembre 2018, 09:50
Il secondo processo a Wilde cominciò il 20 maggio e fu più drammatico del primo. Il verdetto, votato all'unanimità, fu spietato. Sebbene accennasse a grossolani atti d'indecenza a non all'infamante sodomia, reato passibile di una pena più drastica.

Oscar venne condannato a due anni di carcere e di lavori forzati, che sconterà in vari luoghi di detenzione. L'ultimo, la fortezza militare di Reading, che gli ispirerà la celebre, toccante Ballata del carcere di Reading. Ogni stretta cella dove viviamo è una sozza e scura latrina, e il fetido soffio della morte vivente soffoca ogni inferriata. E tutto, eccetto la lussuria, è distrutto dalla macchina fatta dall'uomo.

L'animo era prostrato, il cuore a pezzi, ma l'amore per Bosie e il trasporto dei sensi erano immutati. La sventura non ne aveva minimamente spento, o anche solo scalfito, l'ardore.

Anche quando il poeta estraeva con le unghie i fili di stoppa delle funi, il pensiero di Alfred e il ricordo dei baci dati e ricevuti e dei focosi amplessi, gli leniva l'umiliazione della prigionia: L'attuale sistema carcerario sembra quasi avere come scopo la rovina e la distruzione delle facoltà mentali del detenuto.

Temeva d'impazzire, e non era un timore infondato. Un giornale francese scrisse che era uscito di senno. Non era vero, ma il destino l'aveva ormai in sua balia. Troppe difese gli erano venute meno e la speranza di uscire vivo da quella fossa dei serpenti si faceva ogni giorno più esile e vaga. Leggeva i Pensieri di Pascal e i Saggi di Walter Pater. Le pagine del filosofo e matematico francese sembrava fargli ritrovare la fede.

Nei panni del galeotto, la barba ispida e incolta, la testa rasata, non era che l'ombra irriconoscibile del dandy impettito e impeccabile che aveva avuto Londra ai suoi piedi, esaltato dei critici, incensato dal pubblico, disputato dalla fine fleur londinese.

Un giorno la moglie andò a trovarlo e lui, appena la vide, scoppiò a piangere e sottovoce la supplicò: Perdonami. Gli occhi di Constance s'inumidirono e Oscar, con un filo di voce, le sussurrò: Non sono degno delle tue lacrime. Mi rendo conto del male che ho fatto a te e ai bambini. Ma non è stata solo colpa mia. È stato Douglas che mi ha rovinato.

Non era vero. Entrambi avevano ceduto agli istinti, alle lusinghe della carne, godendo e dannandosi. Ma questo la moglie voleva sentirsi dire.

Constance considerava il giovane Douglas un debosciato senza scrupoli, quale certamente era, e anche un ingrato irresponsabile che aveva preferito fuggire all'estero piuttosto che difendere in patria la propria onorabilità e quella di Oscar. Cosa non facile ché le accuse mosse a lui e al maturo amante erano fondate. Ma solo Wilde stava pagando.

A salvarlo dal tartaro della disperazione e verosimilmente dalla pazzia abbiamo visto la ricerca della fede, favorita, oltre che dalla lettura di Pascal, da quella del Vangelo, dalla Storia dei papi di Ranke, della vita di Gesù di Ernest Renan e della dantesca Divina Commedia.

L'anelito di trascendenza, il bisogno del soprannaturale, il rovello interiore porteranno Wilde a quella conversione che gli renderà meno atroce, tornato in libertà, il calvario dentro e fuori dal carcere.
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