L'amore non chiede mai troppo, chiede quello che deve perché sia vero amore

di Roberto Gervaso
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Martedì 25 Settembre 2018, 09:18
Scott stava scrivendo il primo romanzo e questo riuscì in qualche modo a distrarlo, alleviandogli lo spleen o ridandogli quella fiducia in se stesso che la crisi con Zelda gli aveva fatto perdere. Chi aveva letto il libro, Di qua dal Paradiso consegnato all'editore dopo tante stesure, ne era rimasto entusiasta.

Fitzgerald non dubitò di avere in mano una nuova carta per far tornare Zelda sui suoi passi e riconquistarla. Le chiese di poterla rivedere. Sentiva che lei non gli avrebbe più detto di no, che si sarebbe buttata di nuovo fra le sue braccia. E glielo fece capire in una lettera, ch'era una dichiarazione d'amore: «Se verrai, ne sarò immensamente felice. Avrei voluto vederti, ma non potevo pregarti». Lei rispose: «È strano, Scott, ma non mi sento affatto insicura e dibattuta come prima, quando venivi. Vorrei davvero vederti. E questo è tutto». Ed era veramente tutto.

Tranquillizzato, Scott poteva pensare al libro che stava per uscire e al suo lancio. Ma Zelda non voleva più perderla. L'idea lo angosciava. Ormai lei era sua, talmente sua che quando temette di essere incinta, glielo rivelò. Lui le spedì delle pillole abortive e lei gli scrisse: «Avrei voluto farlo per te perché so quale sconvolgimento sto producendo, ma non posso e non voglio prendere queste orribili pillole, e così le ho gettate via Piuttosto preferirei bere dell'acido cloridrico e in ogni caso preferirei accollarmi una famiglia intera che non perdere la stima di me stessa. Scott, ti prego, cerca di comprendermi e fai ciò che ritieni meglio, ma ti prego non fare nulla prima di sapere con certezza. Dio, o qualcun altro, ha sempre rimesso le cose a posto. E forse, anche questa».

Non ce ne fu bisogno perché non era incinta: solo un falso allarme. Rivelatore della retta coscienza di Zelda e della fedeltà a quei principi che in famiglia le avevano inculcato e che lei, a costo di ogni rinuncia, mai avrebbe tradito.

Di qua dal Paradiso fu un successo immediato. E non solo di pubblico, ma anche di critica. La grande stampa, pur con qualche riserva, che non inficiava il valore del romanzo, non lesinò lodi e incoraggiamenti a Fitzgerald. Il sommo e temutissimo Henry Louis Mencken giudicò l'opera «un romanzo d'esordio davvero sbalorditivo». E di Scott scrisse: «È un giovanotto d'immensa cultura e piuttosto scaltro Più ancora, è un artista».

Fitzgerald non ne aveva mai dubitato, ma l'avallo dell'illustre critico dilatò vieppiù il suo ipertrofico io. Ora poteva finalmente impalmare Zelda che non aspettava altro. Giovedì 30 marzo le inviò questo telegramma: «Riteniamo la cosa migliore sposarci sabato a mezzogiorno. Saremo terribilmente nervosi finché non sarà finita e non avremo pace se aspettiamo sino a lunedì». Poi, un lapidario cenno al suo bestseller: «La prima edizione del libro è esaurita».

La buona stella non poteva essere migliore. Non c'era tempo da perdere, e Zelda non ne perse. In quattro e quattr'otto si preparò e con la sorella partì per New York. Un matrimonio semplice e con pochi amici nella solenne cattedrale di St. Patrick.

Zelda «in abito primaverile», scrive la biografa Kyra Stromberg, «con una composizione floreale, dono di Scott, come unico ornamento». Dopo la cerimonia nemmeno un rinfresco. La coppia voleva stare sola per godersi la luna di miele in una suite del Baltimore Hotel. L'estasi era cominciata, e quel giorno, e anche i successivi, entrambi s'illusero che niente e nessuno sarebbe riuscito a turbarla. Ma i sogni non basta coronarli. Bisogna anche perpetuarli, fissarli nel tempo e impedire che si dissolvano.
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