Per le terapie intensive la Regione Lazio e i maggiori ospedali capitolini sono in stato di preallarme. «Al momento – fanno sapere dall’Unità di crisi regionale anti Covid – il tasso di occupazione dei posti letto nelle terapie intensive si attesta ancora al di sotto della soglia limite, ma l’attenzione è alta, soprattutto dal momento che per le prossime due settimane si attende un aumento dei casi positivi».
Terapie intensive, la situazione a Roma
Il numero dei contagiati cresce di giorno in giorno, ma ciò non vuole dire – come invece avveniva lo scorso anno – che di pari passo salga anche il numero dei ricoverati gravi.
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Nel frattempo, in attesa che parta un piano di rafforzamento generale, si stanno affollando i reparti ordinari di Terapia intensiva. «In corrispondenza della stagione invernale – afferma Mario Bosco, direttore dell’unità di Anestesia e rianimazione del San Filippo Neri – l’aumento dei ricoveri, direi, è quasi fisiologico». Negli ospedali della Asl 1, San Filippo Neri e Santo Spirito, le terapie intensive Covid non sono state ancora riattivate e, qualora, dovessero esserlo, il numero dei posti letto previsti è inferiore a quello del 2020, quando il picco dei positivi è corrisposto a un proporzionale aumento dei casi più gravi. Nell’ospedale sulla Trionfale, a oggi, quasi tutti i posti di Terapia intensiva ordinaria, tra i 27 e i 30, sono occupati.
Quirino Piacevoli è il presidente dell’Aaroi-Emac Lazio, l’Associazione dei medici anestesisti e rianimatori ospedalieri, e spiega come «questa organizzazione a fisarmonica delle terapie intensive, monta e smonta, può creare problemi nel reperimento del personale». Secondo il sindacato degli anestesisti in tutta Italia ne mancano quattromila, «teniamo conto che questi medici – spiega Pacifici – sono indispensabili per lavorare non solo nei loro reparti, ma accanto ai chirurghi nelle sale operatorie o insieme ai medici nei pronto soccorso. L’anno scorso sono stati richiamati gli specializzandi del quarto e quinto anno, è una professione che va incentivata. Dalla possibilità di attivare sedute di sala operatoria – conclude – dipende anche lo smaltimento di tutti quegli interventi non Covid rimasti imbrigliati nelle liste d’attesa».
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