'Nrangheta a Anzio, le foto dei voti per controllare la città: ecco come i boss gestivano il litorale

'Nrangheta a Anzio, le foto dei voti per controllare la città: ecco come i boss gestivano il litorale
di Valentina Errante
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Mercoledì 9 Marzo 2022, 07:30 - Ultimo aggiornamento: 12 Marzo, 07:44

Le foto delle schede elettorali mandate agli uomini delle ndrine dopo il voto, perché verificassero che le indicazioni fossero rispettate, le minacce al personale dell'amministrazione che faceva rilievi sui lavori, la strapotenza sul litorale delle cosche: con i funzionari che chiamano a Domenico Perronace ai domiciliari per chiedere se possono affidare i lavori al figlio. Mentre la prefettura di Roma ha avviato la procedura per scioglimento dei comuni di Anzio e Nettuno, dalle carte della Dda, depositate al Tribunale del Riesame, dopo gli arresti dello scorso 17 febbraio, emergono altri elementi sui rapporti tra gli amministratori e le ndrine calabresi, che, per la procura, sostenevano il sindaco Candido De Angelis.

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Il primo cittadino che, tra l'altro lo scorso anno nell'ambito di un'indagine per evasione fiscale a carico della sua società ittica ha subito sequestri di conti correnti e immobili per circa un milione di euro. È 10 giugno 2018, il giorno dell'elezione di De Angelis quando Stefano Perronace, considerato un uomo delle ndrine, chiama il fratellastro Davide e gli dice non essere ancora andato a votare.

Davide lo istruisce il fratello e quello risponde: «Ho il bigliettino in macchina, ma dopo che voto mando la foto». Annotano i carabinieri in un'informativa: «L'indicazione del simbolo del partito a cui dare la preferenza - Forza Italia- porta a ritenere che il candidato da votare sia proprio Giuseppe Ranucci», assessore della giunta De Angelis e chiamato Zi Pino. Il candidato, scrivono ancora i militari, «conscio della situazione giudiziaria in cui versa il Davide Perronace e delle limitazioni alla libertà personale a cui è assoggettato, ma al contempo riconoscente per l'appoggio elettorale ricevuto, lo contatta telefonicamente attraverso l'utenza in uso alla moglie.

«E ho detto fammelo sentire, mannaggia - dice l'assessore a Perronace - dovevo venirti a trovare e dopo vabbé, che dici compà, tutto a posto sì». Ma in comune ad Anzio non soltanto i lavori venivano affidati direttamente ma veniva anche chiesta l'autorizzazione agli uomini delle cosche. «Alcune conversazioni telefoniche - annotano i carabinieri - documentano come il funzionario dell'Ufficio lavori pubblici dopo aver fatto eseguire dei lavori di somma urgenza alla ditta di Davide Peronace, contatti Domenico Peronace ringraziandolo per essersi messo a disposizione. Singolare è il fatto che il funzionario chieda l' autorizzazione a Domenico se può affidare altri lavori per conto del Comune a Davide, benché questi si trovi ristretto agli arresti domiciliari. E dopo la telefonata il figlio dice al padre: «A pà, ma senti una cosa, non ti ho chiesto, ma gli devo chiedere i soldi oppure...» E Domenico Perronace risponde: «Macché ... gli dici poi te la vedi con papà». Il clima di intimidazioni e minacce riguardava anche i dipendenti pubblici e quando il responsabile dell'ufficio tecnico fa alcuni rilievi sui lavori Davide Perronace ottiene solo una serie di insulti. Lo stesso Perronace, intercettato, racconta soddisfatto a Vincenzo Gallace: «Questo non lo dovemo fa', (gli ho detto ndr) me l'ha detto l'assessore ma che c.. vuoi? Ti faccio ricordare il giorno che mi hai conosciuto, faccio in modo che non ti fai più la barba. Vuoi che ti minaccio? Se ti minaccio non dormi più!» Del resto gli indagati erano fieri: «Simo mafiosi e dovemo mantene' una cosa» dice ancora Davide Perronace al fratellastro, Stefano.

 

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