Mafia a Roma, il boss Antonio Carzo condannato a 20 anni: era a capo della cellula della 'ndrangheta nella Capitale `

Sono state in tutto 17 le condanne inflitte in abbreviato, tra le quali anche quelle a 16 anni e 6 mesi per Domenico e a 12 anni e 2 mesi per Vincenzo Carzo, entrambi figli di Antonio

Ndrangheta Capitale, 20 anni al boss Antonio Carzo: era a capo della prima cellula "locale"
di Val.Err.
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Giovedì 21 Settembre 2023, 06:14

È stato condannato a 20 anni in rito abbreviato, il boss Antonio Carzo, accusato, insieme a Vincenzo Alvaro, di essere al vertice della prima cellula "locale" della ndrangheta nella Capitale. Un'organizzazione smantellata nel maggio 2022 con la maxi inchiesta "Propaggine" delle Dda di Roma e Reggio Calabria. Ieri sono state in tutto 17 le condanne inflitte in abbreviato, tra le quali anche quelle a 16 anni e 6 mesi per Domenico e a 12 anni e 2 mesi per Vincenzo Carzo, entrambi figli di Antonio. Due invece sentenze di assoluzione. Lo scorso 12 settembre intanto si è aperto davanti all'ottava sezione penale il processo ordinario per gli altri imputati, tra i quali figura anche Vincenzo Alvaro.

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L'INCHIESTA

Nell'inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani, che 2022 aveva portato all'arresto di 43 persone a Roma e altre 29 in Calabria con il coordinamento della Dda di Reggio, vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa. Carzo e Alvaro, appartenenti a storiche famiglie di ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria, erano al vertice della "locale" che operava a Roma dal 2015, dopo avere ottenuto l'investitura ufficiale dalla casa madre. «Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto», dicevano in un'intercettazione gli indagati. E nelle conversazioni riportate nell'ordinanza del gip alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: «C'è una Procura... qua a Roma ... era tutta ...la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino» «e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri, Cosoleto, Sinopoli, tutta la famiglia nostra...maledetti». A Carzo viene contestato il ruolo di promotore, avendo ricevuto dall'organo collegiale di vertice "la Provincia" l'autorizzazione alla costituzione della locale di Roma, e quello di direzione insieme a Vincenzo Alvaro. In particolare Alvaro, secondo gli inquirenti, era capo di una costola del sodalizio composta, tra gli altri, da cognati, nipoti, e altri soggetti, così come Antonio Carzo che ne capeggiava un'altra insieme a due figli.

L'ORGANIZZAZIONE

Erano state 72 le misure cautelari eseguite nel maggio del 2022, 43 a Roma e 29 in Calabria.
Secondo la ricostruzione dell'accusa, gli Alvaro avevano trasferito soprattutto la intimidatrice della ndrina di origine. Così dal 2015 la "locale di Roma", era riuscita a mettere le mani su diverse attività commerciali nei settori ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, riciclando il denaro sporco. A Roma il clan si avvaleva di manodopera autoctona per l'attività di riscossione dei crediti e in particolare della famiglia Fasciani.

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