Accanto, alla bancarella di frutta e verdura, Alfredo e Marco mi assicurano, senza che debba chiedere, che le patate americane sono in arrivo e che, se mi dovesse servire, mi faranno pulire e tagliare a fette la zucca. Da Castroni in via Cola di Rienzo, la Mecca per gli stranieri, che seppur amanti della cucina romana e italiana hanno spesso voglia di mangiare delle delicatezze di casa loro, ogni anno si può trovare un tavolo dedicato al Thanksgiving, dove rifornirsi delle specialità che servono: yams (un tubero giallo), la salsa di cranberry (un bacco che fa parte della famiglia del mirtillo ma che qui non cresce), la zucca in scatola per fare i dolci, i pecans (una frutta secca simile alla noce ma più morbida) e il ripieno a base di pane secco. Anche da Innocenzi, un alimentari specializzato qui a Trastevere, non dimenticano mai di rifornirsi di queste cose.
La presenza a Roma di molti americani avrà creato questa disponibilità per il Thanksgiving ma non credo che si tratti esclusivamente di un calcolo economico. I romani sono sensibili alle ricorrenze altrui anche quando (a differenza di Halloween!) non c’è modo di assimilarle; il Thanksgiving, proclamata festività ufficiale da Abraham Lincoln alla fine della nostra sanguinosa guerra civile (e che attualmente cade l’ultimo giovedì di novembre) è molto ancorata nella storia americana. I 53 pellegrini che arrivarono nel Massachusetts dall’Inghilterra nel 1621 festeggiarono la raccolta autunnale del mais e l’abbondanza dei tacchini e di altro pollame insieme agli americani indigeni che li avevano aiutati a fondare la loro piccola colonia.
Credo che i romani abbiano capito che il Thanksgiving è una festività particolarmente sentita da tutti gli americani. Qui a Roma lo celebriamo con fedeltà. Negli States l’importanza è così grande che è il giorno dell’anno in cui si viaggia di più. Quasi 43 milioni americani si metteranno al volante o saliranno in aereo per raggiungere familiari e amici soprattutto per stare insieme.
*Giornalista e blogger
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