Rachele Albini, da sette anni in Austria, ma con Rieti sempre nel cuore

Rachele Albini
di Matteo Di Mario
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Domenica 22 Novembre 2020, 11:46 - Ultimo aggiornamento: 14:38

RIETI - Da sette anni all'estero ma con il cuore sempre a Rieti, Rachele Albini è capo progetto e responsabile della sezione "Interior design" in uno studio internazionale di architettura a Vienna. Specializzatasi al Politecnico di Milano, Rachele ha inoltre vissuto per sei mesi in Norvegia, entrando in contatto con un diverso tipo di culture e tradizioni. Con lei abbiamo parlato di pandemia, cambiamenti nello stile di vita e nel lavoro, ma anche di Erasmus, università e nostalgia di casa.

Rachele, come ha vissuto la pandemia in Austria? Ha notato differenze nel Paese tra prima e seconda ondata?

«Dopo qualche settimana di confusione, il panico è scattato anche in Austria verso fine Febbraio. In quei giorni mi trovavo in Giappone. Il viaggio è terminato in anticipo poiché il ministero degli esteri austriaco ha richiamato tutti i residenti a tornare "in patria" e l'indomani c'è stato il blocco dei voli al di fuori dall'Europa. Dalla quarantena forzata di 14 giorni (il Giappone era considerato a rischio) sono passata direttamente al primo lockdown. Quella prima ondata in Austria è sembrata non essere arrivata pienamente, sembrava avessero capito la gravità del problema e imparato dall'Italia - che come molte volte nella storia ha insegnato - così i contagi si sono tenuti bassi. La seconda ondata invece avviene adesso, ed è molto più grave. L'Austria è salita in vetta in quanto a contagi in Europa, e da martedì scorso è di nuovo in lockdown».​

Da marzo in poi, la sua quotidianità e il lavoro hanno subito grosse modifiche?

«Il primo lockdown è stato molto "dolce". Ho lavorato da casa ma avevo la libertà di uscire, passeggiare, sedere a distanza con amici su una panchina al sole. La stagione ha aiutato, abbiamo organizzato pic-nic, non c'erano grossi divieti nè autocertificazioni. Bar, ristoranti e negozi erano chiusi. Ma poco dopo tutto è tornato alla normalità e ad un eccesso di libertà sconsiderata (la mascherina nei supermercati non era più richiesta) che ha avuto conseguenze negative. Ho dovuto ridurre a periodi la vita sociale, ma mai in maniera assoluta. Ho trascorso meno tempo in bar e discoteche, e più tempo nella natura. Ho viaggiato meno».​

Come vede il futuro di programmi come l'Erasmus o, più in generale, di esperienze di studio/tirocinio all'estero?

«Io penso che, dopo questa crisi, l'Europa tornerà ad essere una, si tornerà a girare liberamente e a sentirsi liberi di studiare o lavorare altrove. D'altronde, è già chiaro che questa crisi ha investito indiscriminatamente tutti i Paesi e che le divisioni fatte a primavera si sono rese inutili: costruire nuovi confini non ha arginato la diffusione del virus. In questa era tecnologica si tornerà spero a viaggiare facilmente, velocemente ed economicamente.​ I media continueranno a farci sentire vicini anche se lontani, come abbiamo sperimentato tutti in questi mesi più che mai.​ E' una gran cosa poter scegliere liberamente dove vivere, sentendosi soprattutto cittadini Europei».

Quanto ha influito la sua preparazione universitaria italiana nello svolgere correttamente la sua professione all'estero?

«Moltissimo.

La preparazione italiana è molto buona, indipendentemente dalla Facoltà. Ho avuto la fortuna di poter frequentare l'Università di Roma Tre e il Politecnico di Milano, assorbendo punti di vista sulla progettazione e sul restauro molto diversi, talvolta con un'angolatura più umanistica e talvolta più tecnica. Studiando all'estero (Oslo School of Architecture) mi sono resa conto dei punti di forza e della sofisticatezza della nostra preparazione. Il saper fare e lo studio approfondito ci contraddistinguono in quanto italiani. All'estero si pensa molto all'efficienza, si fa spesso meno attività intellettuale, si prova a stringere tutto in pochi contenuti. Questa mentalità comporta molti vantaggi, soprattutto a livello burocratico ed economico, ma si perde spesso il senso della bellezza, della complessità».​

Come si vive in generale a Vienna? Ci sono differenze notevoli rispetto al nostro Paese?

«Vienna​ è spesso in cima alla classifica delle città più vivibili del mondo. E' una città pulita, ordinata e anche molto bella. La mia sensazione è che, vivendo a Vienna, si perda una parte del problem-solving imparato in Italia: la vita lì è prevedibile, priva di complicazioni, i mezzi pubblici passano continuamente, tutto funziona. Qualche volta mi mancano l'imprevedibilità o la caoticità tipiche della città italiana, ma sono molto felice di non dover perdere mai il mio tempo. Per me un'altra differenza notevole è il fatto che il mio mestiere di architetto sia riconosciuto e gratificato sia a livello pratico, sia economico».

È tornata a Rieti da poco. Quando era venuta in città l'ultima volta? All'estero sente spesso nostalgia di casa?

«Ho trascorso le vacanze estive in Italia, fino a fine Agosto. Torno a casa ogni due mesi circa e mi fa piacere rivedere ogni volta la bellezza della mia città con occhi diversi. I reatini spesso dimenticano la fortuna che hanno a vivere in un luogo idilliaco, dalle qualità paesaggistiche ed architettoniche evidenti. La nostalgia di casa si sente spesso, soprattutto vivendo all'estero: la nostra cultura è specificatamente italiana, la varietà e la ricchezza che contraddistingue il nostro Paese è introvabile altrove e intraducibile. Al momento ho la fortuna di vivere il mio paese più che altro da vacanziera, assorbendone​ tutta la bellezza con molta più intensità di prima».

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