Trump vuole stracciare l'accordo con l'Iran, ma i firmatari sono tra i favoriti per il Nobel per la pace

Trump vuole stracciare l'accordo con l'Iran, ma i firmatari sono tra i favoriti per il Nobel per la pace
di Anna Guaita
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Mercoledì 4 Ottobre 2017, 22:25 - Ultimo aggiornamento: 6 Ottobre, 16:07
NEW YORK  Per lui è uno dei peggiori accordi internazionali mai firmati dagli Stati Uniti. Per una larga parte del consorzio mondiale, è un accordo che funziona e bisogna salvare, e tale posizione è condivisa anche dai suoi ministri più importanti. E’ questa la situazione in cui si trova Donald Trump nei confronti dell’accordo sul nucleare iraniano. Lui vorrebbe stracciarlo, ma il suo ministro degli Esteri, il suo ministro della Difesa e il suo capo degli Stati Maggiori gli suggeriscono di rispettarlo. Glielo ha suggerito ieri anche il segretario dell’Onu Antonio Guterres e perfino Vladimir Putin, che da Mosca ha sostenuto che “tutte le parti stanno rispettando gli impegni presi” e quindi non ci sono motivi per cancellare l’accordo. A rincarare a dose sembra ci si stia mettendo anche la Commissione del premio Nobel.

A sentire le voci che giravano ieri, in cima alla rosa dei nomi candidati al premio per la pace c’erano quelli di Javad Zarif e di Federica Mogherini, che insieme al segretario di Stato John Kerry furono i principali negoziatori dell’accordo firmato nel 2015. Non sarebbe la prima volta che il Nobel viene assegnato per motivi politici. Nel 2005, ad esempio, fu dato all’Agenzia internazionale per l'energia atomica, e al suo direttore Mohamed el Baradei, per esprimere dissenso sulla guerra in Iraq scatenata nel 2003 dall’Amministrazione Bush. La Casa Bianca aveva sostenuto che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa, ma la Iaea aveva invece sancito che nel Paese non esistevano armi del genere. Se dunque oggi il Nobel andasse ai principali negoziatori dell’accordo sul nucleare iraniano, si tratterebbe di un evidente messaggio destinato a Trump. Ma non è affatto detto che Trump lo accoglierebbe affabilmente. Nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, pochi giorni fa, il presidente ha fatto capire di aver preso una decisione sull’accordo, e tale decisione si potrebbe materializzare il 15 ottobre, quando dovrà certificare al Congresso se l’Iran stia rispettando l’accordo.
Per precisa legge del Congresso, infatti, il presidente Usa deve ogni 90 giorni contattare i legislatori e spiegare se Teheran abbia violato i termini dell’accordo. Trump lo ha fatto a luglio, obtorto collo. Ma, a suo giudizio, Teheran non rispetta “nello spirito” l’accordo, perché continua a sperimentare con nuovi missili. Il capo degli Stati Maggiori, generale Joseph Dunford ha invece spiegato, in una deposizione al Senato, che l’accordo ha ottenuto quel che cercava, e che bisogna lasciarlo intatto, mentre bisognerebbe invece aprire eventuali altri negoziati su altri problemi, appunto i missili. Opinione poi condivisa anche dal ministro della Difesa James Mattis, secondo il quale l’accordo “rientra negli interessi” degli Stati Uniti, e “il presidente dovrebbe mantenerlo”. Più vago è stato il segretario di Stato Rex Tillerson, che ieri ha annunciato che presenterà al presidente “due possibili opzioni” su come gestire l‘accordo. Ma Tillerson aveva ieri una rovente crisi da risolvere, e forse per questo si è tenuto generico sull’Iran. Un servizio della Nbc aveva sostenuto che la scorsa estate Tillerson si era arrabbiato con Trump, lo aveva definito “un imbecille” ed era stato a un passo dal dimettersi. Per l’appunto pochi giorni fa Tillerson è stato anche preso di sorpresa da vari tweet di Trump che svilivano i suoi sforzi di trovare un accordo diplomatico con la Corea del nord. Tuttavia ieri pomeriggio Tillerson ha sostenuto di essere fedele al presidente, di condividere le sue posizioni, e di non aver mai avuto “serie intenzioni” di dimettersi. Non ha negato di averlo chiamato imbecille, però, come hanno notato gli analisti.

 
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