Tajani: «L’Italia è contro Hamas non contro la Palestina. Ma Israele deve difendersi»

Il vicepremier: «Noi portatori di pace. La soluzione resta due popoli e due Stati»

Tajani: «L’Italia è contro Hamas non contro la Palestina. Ma Israele deve difendersi»
di Ernesto Menicucci
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Lunedì 16 Ottobre 2023, 01:33 - Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 08:47

Dall’Egitto a Israele, da Israele alla Giordania, dalla Giordania al rientro a Roma, passando però per Monza e Trento, tappe della campagna elettorale che incombe nel fine settimana. Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri, leader di Forza Italia è sul treno che lo sta riportando nella Capitale. 

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Nel cuore, e purtroppo anche negli occhi, le immagini viste in Israele dei massacri di Hamas: «Cose non raccontabili... Filmati con bambini, profanazione di cadaveri... Quello che facevano i nazisti, o anche peggio...». Oggi è l’ottantesimo anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, al Portico d’Ottavia. E Tajani, insieme alle cariche italiane (a cominciare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella), ci sarà per ribadire «la condanna all’antisemitismo, che è sempre latente e che va sconfitto anche e soprattutto dal punto di vista culturale». Prima, in mattinata, dopo il Cdm, l’incontro con il Re di Giordania e il ministro degli Esteri giordano, insieme alla premier Giorgia Meloni.

Cosa vi aspettate dal Re?
«È una visita molto importante per noi, perché la Giordania è un paese fondamentale come portatore di pace, visto anche che il Re è il custode dei luoghi santi in Terrasanta a cui ovviamente come cristiani siamo molto legati, anche per il loro valore simbolico».

Ma l’Italia, in questo contesto internazionale, che ruolo può giocare?
«Stiamo lavorando incessantemente per la liberazione degli ostaggi, per il sostegno alla popolazione civile palestinese e per favorire la de-escalation del conflitto. Dopo Israele e Giordania, infatti, andrò anche in Tunisia».


Ci sono italiani e italo-palestinesi nella striscia di Gaza, quando pensa che potranno uscire?
«Appena si apre il varco, spero già nelle prossime ore».
E dei tre ostaggi cosa si sa?
«Poco o nulla. La situazione non è facile perché potrebbero essere nelle mani di Hamas oppure di organizzazioni fiancheggiatrici di Hamas. Abbiamo chiesto l’intervento dell’Egitto, dei Paesi arabi».
E quale è stata la risposta?
«Il presidente egiziano Al Sisi mi ha detto che avrebbe fatto tutto il possibile per liberarli».


Ieri c’è stata la presa di posizione di tutti e 27 i Paesi membri della Ue, domani il Consiglio europeo straordinario. Cosa può fare l’Europa?
«Essere attrice di pace. È fondamentale che il conflitto non si allarghi a Iran e Libano, ma che rimanga circoscritto alla guerra contro Hamas».


Alcuni segnali in questo senso, anche dalla Russia di Putin, sembrano arrivare. È fiducioso?
«I rischi che una situazione incandescente possa prendere fuoco ci sono sempre».
Due popoli, due Stati. È sempre stata la posizione dell’Italia. Ma è ancora percorribile?
«Certo, lo deve essere.

Stare con Israele, come è l’Italia, non significa essere contro la Palestina o contro il popolo palestinese. Anzi, loro sono delle vittime di Hamas, che li usa come scudi umani: Israele ha detto loro di uscire, i terroristi impongono di restare. Noi diciamo no al terrorismo, alla malvagità, alle immagini raccapriccianti che abbiamo visto. Ma ovviamente siamo al lavoro per arrivare ad una stabilizzazione definitiva dell’area del Medio Oriente».


Perché finora, in una vicenda complessa e lunga oltre 70 anni, la soluzione di “due popoli, due Stati” non si è realizzata?
«Perché c’è chi, e parlo dei terroristi e dei fondamentalisti, non vuole la pace in quella regione, ma il conflitto con Israele e con il mondo Occidentale. Tanto è vero che Hamas ha deciso di attaccare adesso per impedire il processo di pace, con gli accordi di Abramo tra Israele e Arabia Saudita, e quindi l’islam moderato».


E lei ha avrebbe un’idea di quali dovrebbero i confini dei “due Stati”, con Gerusalemme come capitale condivisa sotto l’egida della comunità internazionale?
«È un processo lungo, complesso. Gli eventuali confini li dovranno stabilire le parti con la supervisione dell’Onu eil sostegno della comunità internazionale. Un progetto lontano, ma che va perseguito con forza. Nessuno ovviamente si sogni di poter cancellare che Israele ha subito un attacco indegno, anche vile, andando a prendere i bambini e civili nelle case. Un’azione voluta, premeditata, messa in atto peraltro nel giorno di shabbat».


È preoccupato dal clima che si sta diffondendo in Europa, soprattutto in Francia con gli allarmi bomba e le evacuazioni del Louvre e di Versailles?
«Bisogna avere la massima attenzione e infatti anche in Italia abbiamo alzato il livello di guardia per proteggere i cittadini di religione ebraica, i luoghi di culto, quelli sensibili. La nostra intelligence è al lavoro a 360 gradi: nelle carceri, negli hotspot per evitare che con i migranti arrivino dei combattenti. Lavoriamo con determinazione, senza sottovalutare nulla ma anche senza allarmismo: al momento non ci sono segnali di pericoli imminenti».


Le manifestazioni pro-Palestina, quindi, non vanno vietate come invece è accaduto in Francia?
«L’Italia è un paese democratico, le manifestazioni pacifiche, per la pace in Medio Oriente o a favore della Palestina, non vanno vietate. Altra cosa, naturalmente, sarebbero manifestazioni violente o addirittura a favore dei terroristi. Ripeto: noi siamo contro Hamas, non contro la Palestina e i palestinesi».
Il ministro Crosetto in un primo momento aveva pensato di cancellare la festa della Forze Armate del 4 novembre, poi ha corretto il tiro. La festa va cancellata, secondo lei?
«Saranno il ministro della Difesa e quello dell’Interno a decidere, in base al livello di allarme che ci sarà in quel momento. E seguiamo con grande attenzione l’evoluzione della situazione al confine fra Libano e Israele, dove sono schierati più di mille soldati italiani nella missione Unifil. A loro va il mio pensiero e il totale sostegno alla loro delicatissima missione».


C’è speranza che per il 4 novembre la guerra sia finita?
«Impossibile fare delle previsioni. Ovviamente siamo tutti al lavoro perché la guerra finisca il prima possibile, e perché sia così è fondamentale che non ci sia l’allargamento con il coinvolgimento di Iran e Libano, che creerebbe solo danni enormi, con un Medio Oriente in fiamme».


Fatti i debiti scongiuri, a parte il drammatico attentato al Ghetto nel 1982, dove morì il bambino Stefano Gaj Taché, in Italia non ci sono stati assalti terroristici legati alla jihad. Come mai secondo lei?
«Perché l’Italia ha sempre avuto buoni rapporti con il mondo arabo, anche e non solo per la posizione che occupa nel Mediterraneo. Pur essendo amici di Israele abbiamo sempre svolto un ruolo di portatori di pace, senza porci mai in modo aggressivo, nemmeno nei toni o nelle parole».

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