Dress code a Montecitorio, se ne riparlerà. In Aula è passato (con 181 favorevoli e 100 contrari) un ordine del giorno che impegna la Camera «a valutare l'opportunità di introdurre specifiche disposizioni volte a prevedere che l'abbigliamento dei deputati, dei dipendenti e di tutti gli altri frequentatori delle sedi della Camera sia consono alle esigenze di rispetto della dignità e del decoro dell'Istituzione». Un testo più "soft" rispetto a quello proposto da FdI e precedentemente discusso che prevedeva invece un l'obbligo di cravatta per gli uomini (è già così al Senato) e lo stop alle sneakers per tutti.
Nella nuova versione (in cui è stato accorpato anche l'odg di Martina Semenzato di Noi Moderati) la palla passa quindi all'Ufficio di presidenza e al Collegio dei questori che dovranno «valutare l'opportunità di introdurre specifiche disposizioni volte a prevedere che l'abbigliamento dei deputati, dei dipendenti e di tutti gli altri frequentatori delle sedi della Camera sia consono alle esigenze di rispetto della dignità e del decoro dell'istituzione».
Le reazioni
Le discussioni in Aula sul tema sono state molto accese, con il M5s che ha attaccato la maggioranza: «Potete venire anche in smoking ma quello di comunicare lo stop al reddito via sms di certo non è un atteggiamento consono al decoro». Sì di +Europa al ripristino della cravatta ma, avverte Benedetto Della Vedova, «niente scelte anacronistiche». Tra i partiti della maggioranza, è la leghista Simonetta Matone a chiedere lo stop alle sneakers: «Non siamo qui a fare footing».
Intervistato da La Stampa, Paolo Cirino Pomicino ha applaudito la possibile stretta al vestiario, ricordando come durante la Prima Repubblica non sarebbe servita una discussione in materia, tranne forse per i Radicali (che «erano sciatti nel modo di vestire ma avevano delle idee»). Anche l'ex ministro democristiano però sembra invocare un'eccezione non ad personam ma ad aetatem: «A volte nelle persone anziane la vecchiaia prende o le gambe o la testa per cui le scarpe di gomma aiutano».
L'abito (a volte) è il messaggio
In realtà il dress code in Parlamento ha spesso fatto discutere o è servito per lanciare messaggi. Sono lontani i tempi in cui il senatore Francesco Speroni si presentava in Aula con la cravatta texana (quella con due fili a mo' di cowboy) per aggirare - e un po' irridere - l'obbligo a Palazzo Madama. Dopo gli abiti dei primi leghisti, fecero discutere anche quelli dei grillini, che nel 2013 si tolsero la cravatta in Senato in segno di protesta, per far sospendere la seduta (vedi foto in copertina). Nel 2019, il deputato di FdI Federico Mollicone aveva pubblicato via social, come forma di denuncia, alcune foto di colleghi in Aula in abbigliamenti giudicati troppo "balneari". In tempi più recenti, l'allora deputato di Avs (ora al gruppo Misto) Aboubakar Soumahoro si è presentato alla Camera con un paio di stivali sporchi di fango, in ricordo dei «compagni di lotta» che non ce l'avevano fatta.
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