Manuel Agnelli: «Sono inquieto e non mi piaccio. X Factor? Ero stanco del mio mondo, soffrivo di claustrofobia»

Manuel Agnelli: «Sono inquieto e non mi piaccio. X Factor? Ero stanco del mio mondo, soffrivo di claustrofobia»
di Katia Ippaso
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 12 Luglio 2023, 06:40

«Tutta la mia vita è stata una pazzia totale e non sono un grande fan di me stesso». Manuel Agnelli, 57 anni, storico frontman degli Afterhours con una nuova, parallela vita da cantante solista, si dispone a parlare di sé senza sovrastrutture, accettando di andare anche in territori impervi e poco illuminati: la costante ricerca di un luogo di appartenenza, il conflitto tra la vocazione solitaria e il bisogno di tenere insieme il sistema-famiglia, l'inclinazione malinconica. Nel suo modo di parlare, sopravvive a tratti il transfert con David Bowie, interpretato nello spettacolo Lazarus, regia di Valter Malosti, che lo ha fatto avvicinare ad una materia dolorosa e sublime. Ma è con intatto entusiasmo che l'artista oggi si avvicina all'appuntamento con il pubblico romano, «forse il migliore che io abbia mai avuto»: il 17 luglio all'Ippodromo delle Capannelle per Rock in Roma.

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Ascolteremo i brani del suo primo album come solista, "Ama il prossimo tuo come te stesso"?

«Si, ma interpreterò anche canzoni degli Afterhours.

Pezzi come Ballata per la mia piccola iena, Quello che non c'è, Male di miele, li sento molto miei anche perché li ho scritti pensando a persone che avevo conosciuto».

Sono passati sette anni dall'ultimo album degli Afterhours ("Folfiri o Folfox"). È una lunga pausa di meditazione che potrebbe annunciare uno scioglimento?

«Non ci stiamo sciogliendo. Però non abbiamo neanche progetti imminenti. È un duro lavoro tenere insieme i bisogni di tutti. Considero tuttora gli Afterhours il progetto più importante della mia vita. Facendo un disco da solo, ho voluto però in qualche modo ricominciare da zero. Cercavo un po' di leggerezza, di semplicità».

 


"Ama il prossimo tuo come te stesso". È per lei un'indicazione di vita?
«Sì, lo è. Ma fino a un certo punto. Non sono quello che sembro. Diciamo che non sono un grande fan di me stesso».


Cosa non ama di sé?
«Gli stessi difetti che vedo negli altri li vedo anche in me stesso: la non accettazione di propri limiti, della mediocrità. Quello che la gente scambia per ambizione in realtà è frutto del continuo bisogno di dimostrarmi migliore di quello che sono. Io non mi piaccio».


È per questo che cerca sempre nuove metamorfosi?

«La curiosità mi salva: oltre alla musica, faccio radio, televisione, teatro. Più che un eterno insoddisfatto, sono un onnivoro. E tutto questo mi aiuta a convertire l'inquietudine che mi assedia in qualcosa di positivo».

Essere David Bowie. Non è un'impresa che fa tremare i polsi?
«Lo è. Cantare David Bowie è difficilissimo perché lui era molto asciutto e al tempo stesso emozionante. Però adesso, dopo 66 repliche e la gratitudine del pubblico, mi calmo e cerco di riflettere su quello che mi sono portato a casa. Ho imparato tantissime cose, anche musicali».


Per esempio?
«Che posso finalmente avere il coraggio di lavorare sulla mia zona di comfort, che invece mi ero sempre negato. La tessitura e l'estensione vocale di Bowie sono molto simili alla mia, quindi diciamo che, cantando Bowie, sono finalmente riuscito ad essere me stesso senza dover forzare verso l'alto o verso il basso».


"Lazarus" è l'opera del crepuscolo, scritta quando Bowie era vicino alla fine della sua vita. Cosa ha significato per lei entrare in quella stanza animata da prodigi e congedi?

«Newton, il personaggio inventato da Bowie, ed io siamo in realtà molto simili. Ci sono temi che mi appartengono: l'invecchiamento, la perdita dell'amore, il bisogno di trovare un luogo in cui riconoscersi».

Lei l'ha trovato?
«Questo luogo cambia nel tempo, in relazione alle nostre aspettative e alla nostra crescita interiore. Però un posto definitivo in cui sentirmi sempre bene, no, non l'ho trovato».


Per arrivare a recitare con quella temperatura emotiva e quella precisa misura, che tipo di lavoro ha dovuto fare?
«Mi sono affidato a Malosti e ho affinato le mie capacità di ascolto dell'ensemble. Non ho mai visto in vita mia una compagnia così affiatata. Alla fine, non riuscivamo a separarci. Speriamo ovviamente di fare una nuova tournée, ma al momento non c'è nulla di sicuro».


Si è mai pentito di quella che molti hanno letto come una pericolosa "deviazione", cioè la partecipazione a "X Factor"?
«Se non avessi fatto il giudice a X Factor, probabilmente non sarei neanche stato scelto per fare Lazarus. Quell'esperienza mi ha dato più popolarità e alla fine più libertà di scelta. Ho accettato perché ero stanco del mio mondo, soffrivo di claustrofobia. E poi, essendo un introverso di natura, ho imparato a stare con gli altri. Non è certo la prima cosa irrazionale che ho fatto nella mia vita».

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