Donato Carrisi: «Anche io ho spesso paura, è il sentimento più utile del mondo»

Lo scrittore presenta il suo ultimo thriller "L'educazione delle farfalle"

Donato Carrisi: «Anche io ho spesso paura, è il sentimento più utile del mondo»
di Riccardo De Palo
4 Minuti di Lettura
Venerdì 10 Novembre 2023, 16:51

«Il modo migliore per punire un desiderio egoistico è esaudirlo quando ormai è troppo tardi», dice la protagonista dell'ultimo romanzo di Donato Carrisi, L'educazione delle farfalle, quando sta per compiersi l'ultima sua trasformazione. Serena è una donna manager milanese, fredda e calcolatrice, senza alcun desiderio di diventare madre, che resta incinta senza volerlo dopo alcuni rapporti occasionali. Quando la figlia scompare all'improvviso, nel rogo di uno chalet in Svizzera, ritrova il suo istinto materno, e fa di tutto pur di ritrovare la piccola Aurora. «Ci sono tante cose racchiuse in questo libro - racconta il mago del thriller all'italiana - è la genesi di una madre che si trova chiusa in un bozzolo, da bruco diventa farfalla. E poi, c'è il "butterfly effect". L'effetto farfalla».


Vale a dire "il battito d'ali di una farfalla in Brasile che può causare un tornado in Texas?"
«Esatto. Ogni piccolo episodio della nostra vita determina quelli successivi. È una catena. Persino il colore dei calzini che abbiamo deciso di indossare un giorno può determinare cose clamorose nel futuro».


Si è ispirato a qualcuno per il personaggio di Serena?
«No, è la somma di tante madri che ho incontrato».


Quanto è importante l'istinto genitoriale?
«È una cosa che non sai di possedere fino a quando non viene il momento, finché Aurora non disegna sua madre come una supereroina e Serena le chiede quale sia il suo superpotere. "Lo scoprirai al momento opportuno", risponde la figlia. Ed è così per tutti: non si nasce genitori, lo si diventa all'improvviso. E cambia tutto».


Cosa rappresenta il fuoco?
«La distruzione, ma anche la rinascita. È sempre questo il ciclo della vita. Il fuoco è estremamente distruttivo, ma anche affascinante. Queste due caratteristiche ritornano spesso nei miei romanzi, fanno parte del mio modo di raccontare. La fascinazione del male, qui, ha la forma del fuoco».


Pensa che essere piromane sia una sorta di dipendenza, come traspare dal suo personaggio, Adone?
«È anche la sua natura, non ci si può sottrarre».


Lui chiama il fuoco "la bestia".
«È un modo per dire "posso domarla"; ma in realtà la bestia è sempre dentro di lui».


Lei ha studiato criminologia. Cosa porta l'uomo verso il male?
«Ci sono delle persone che hanno freni inibitori più efficaci e altre meno, ma abbiamo tutti una tendenza a fare del male. Se ci fosse impunità assoluta, penso che ne vedremmo delle belle».


Nei film della saga "La notte del giudizio" per una notte ogni crimine diventa lecito.
«È proprio quello il punto. La nostra vera natura, se fosse messa in condizione di scegliere liberamente, non è detto che sceglierebbe il bene».


Questo libro potrebbe essere il primo di una serie?
«No, no. È uno stand-alone.

Vive dalla prima all'ultima pagina e finisce lì».


Qualunque thriller si legga oggi, si ritorna sempre al tema del doppio. Un tema molto caro anche a lei?
«Abbiamo tutti questa duplicità, questa doppia personalità. Siamo noi a decidere quale mostrare. A volte le alterniamo, non siamo lineari. Per fortuna, perché altrimenti non ci sarebbe salvezza in ciò che facciamo».


Ma quando comincia a scrivere sa già come andrà a finire? Joël Dicker dice che non lo sa assolutamente.
«Mente spudoratamente. Per Jeffery Deaver, scrivere è come fare un viaggio aereo: devi conoscere la destinazione, essere sicuro di atterrare, perché altrimenti non partiresti mai. Poi, magari, puoi anche prendere direzioni diverse durante il viaggio, ci possono essere turbolenze».


Le capita di provare paura?
«Provo costantemente paura, altrimenti non riuscirei a scriverne. Viene spesso bistrattata, la paura. Viene collegata a cose volgari, basse. E invece è un sentimento nobilissimo, perché permette di riconoscere i pericoli. A differenza di altri sentimenti - come l'amore, che ci rincretinisce - la paura è educativa».


Ha nuovi progetti cinematografici, dopo "Io sono l'abisso?"
«Ci saranno sicuramente sorprese».


Non ci può anticipare nulla?
«Sono incredibilmente scaramantico, però mi creda: ho già detto tantissimo».


Sempre cinema, o tv?
«Il cinema è nobile, richiede un impegno, come i libri. Quando, da adolescente, andavo a scegliere un libro che mi piaceva, il tragitto era tutto un piacere aggiuntivo».


Quali erano i libri che aspettava con più ansia?
«Tutti, ero onnivoro...»


Non c'è un autore che ha più amato di altri?
«Cormac McCarthy sicuramente, e anche Stephen King erano quelli che cercavo di più».


E tra i suoi personaggi ce n'è qualcuno a cui è più legato?
«A nessuno. Perché altrimenti diventa pericoloso, morboso. Come il rapporto tra Conan Doyle e Sherlock Holmes, che era diventato più famoso di lui. L'autore, geloso, lo uccise. Ma poi, per le proteste, fu costretto a farlo resuscitare».


Nel tour di presentazioni del libro, segnaliamo domenica 12 novembre la tappa di Velletri, presso la Casa delle culture e della musica (ore 11,30) e sabato 25 quella di Roma, Libreria Nuova Europa, Granai (ore 12).

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