Berlusconi, la folle passione per il calcio: nessuno come il suo Milan tra spettacolo e innovazione

Col sottofondo wagneriano della Cavalcata delle Valchirie, e uno stormo di elicotteri ricolmi di giocatori in atterraggio sull’Arena di Milano, il calcio italiano e mondiale cambiò di colpo il 18 luglio 1986

Berlusconi, la folle passione per il calcio: nessuno come il suo Milan tra spettacolo e innovazione
di Andrea Sorrentino
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Lunedì 12 Giugno 2023, 11:26 - Ultimo aggiornamento: 12:41

Col sottofondo wagneriano della Cavalcata delle Valchirie, e uno stormo di elicotteri ricolmi di giocatori in atterraggio sull’Arena di Milano, il calcio italiano e mondiale cambiò di colpo il 18 luglio 1986: era davvero l’Apocalisse, adesso, come suggeriva l’implicita citazione cinematografica, solo che a crederci davvero era solo Silvio Berlusconi. Anzi all’epoca ci furono ironie, per una squadra che si presentava in modo così spettacolare e inusitato, per giunta col volto televisivo, Cesare Cadeo di Canale 5, a intervistare i giocatori. Invece quel giorno nasceva il Milan di Berlusconi che avrebbe rivoluzionato il gioco, o forse l’avrebbe portato dove sarebbe finito prima o poi, perché alle leggi del mercato non si comanda: solo che Silvio l’aveva capito prima. Così, da affermato imprenditore delle tv, “Sua Emittenza” acquistò il Milan nel febbraio 1986 per renderlo «la squadra più forte del mondo», come ripeteva agli attoniti giocatori, da Franco Baresi in giù, che fin lì avevano vissuto salvezze affannose o al massimo la Coppa Uefa. Invece andò come profetizzava Silvio, le cui intuizioni calcistiche furono formidabili.

La prima, quella di mettersi al fianco Adriano Galliani, suo partner nelle aziende tv ma con un passato da dirigente del Monza: il binomio è rimasto indissolubile per tutta la vita.

Il grande colpo fu ingaggiare Arrigo Sacchi, giovane allenatore del Parma che, per lo sconcerto dei conservatori, giocava addirittura “a zona” e all’attacco: una bestemmia per i soloni, secondo cui esisteva solo il calcio difensivo all’italiana. Fesserie, spazzate via dalla storia. Con Sacchi alla guida, e ingaggiando i due fuoriclasse olandesi Gullit e Van Basten, il Milan fece subito epoca: uno scudetto e due Coppe dei Campioni (la prima indimenticabile: 4-0 alla Steaua a Barcellona, nell’immenso stadio solo tifosi rossoneri) giocando all’attacco anche in trasferta, persino in casa del Real Madrid. Era calcio spettacolo, mai visto: le squadre italiane potevano divertire e vincere, anche se per 50 anni ci avevano garantito il contrario.

Quel Milan cambiò il gioco, provocò salti in avanti nella tattica e nella strategia. Dopo Sacchi, altra intuizione: Fabio Capello era uomo-Fininvest con un passato da grande giocatore, ma Berlusconi decise che doveva allenare il Milan, e azzeccò ancora. Arrivarono scudetti in serie e la Champions. Perché intanto la Coppa dei Campioni era andata a caccia di nuovi profitti diventando Champions League, anche qui sotto la spinta di Berlusconi. Uno scudetto con Zaccheroni nel 1999, poi l’intuizione nel 2001: Carlo Ancelotti, allenatore in disgrazia perché aveva fallito alla Juventus ma vecchio cuore Milan, va in panchina, e si apre un altro ciclo formidabile: scudetto e due Champions alzate dal capitano Paolo Maldini (suo padre Cesare vinse la prima del club nel 1963: una storia unica al mondo). Infine l’ennesima intuizione, Max Allegri, allenatore dell’ultimo scudetto berlusconiano nel 2011. 

 

I RECORD

Il Milan di Sua Emittenza è stata la squadra più vincente al mondo, come aveva profetizzato lui nel 1986: in 31 anni 29 trofei. E il contributo in termini di popolarità e di prestigio del club alle fortune anche politiche di Berlusconi è stato sempre evidente, anzi era studiato e previsto anche quello. Negli ultimi anni, dopo aver ceduto il Milan nel 2016, altro colpo di coda, sempre con Galliani, portando il Monza dalla serie C alla prima serie A della sua storia. Questione di dna. In quello di Silvio Berlusconi, oltre a tutto il resto, c’erano ampie tracce di competenza calcistica, e di coraggio, che hanno segnato la storia del gioco. Anzi, come diceva lui: del “giuoco”.

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