Benedetta Porcaroli: «Dopo 10 anni di sedute adesso non scappo più. Io e Scamarcio? Tutto ok. L’amore è amore»

Parla l’attrice di “Enea” di Pietro Castellitto: «Con l’analisi mi concentro su me stessa»

Benedetta Porcaroli: «Dopo 10 anni in salita adesso non scappo più. Io e Scamarcio? Tutto ok. L’amore è amore»
di Andrea Scarpa
6 Minuti di Lettura
Domenica 21 Gennaio 2024, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 00:03

«Ho una lama in gola. Due giorni fa sono stata da Fiorello e ho ballato come una matta stando in maglietta: ho preso freddo. Andiamo avanti fino a quando ce la faccio, ok?». La telefonata con Benedetta Porcaroli, 25 anni, romana, comincia così: sembra destinata a durare poco, finisce dopo un’ora esatta, prima che diventi la versione femminile di Tom Waits. La giovane attrice in questi giorni è nelle sale con Enea, il secondo - originale, lucido e severo - film da regista-attore di Pietro Castellitto sul disfacimento borghese, l’incoscienza edonista e la ridicola fascinazione criminale di questi anni. 

Che tipo di attrice sta diventando?
«Ce la sto mettendo tutta per fare sempre meglio. Mi mancano i film che parlino di umanità e amore, ora vanno quelli dalle emozioni forti, chiare e immediate. Questo di Pietro, invece, va nel profondo. E quando capisco che un progetto punta a quello, e questo a modo suo è anche romantico, io mi butto». 

Si fanno troppi film che hanno poco o niente da dire?
«Sì. Di quel tipo se ne fanno troppi. Tutti inutili».

Quindi ha già imparato a dire no?
«Certo. Ho capito che è una parte importantissima del mio lavoro saper dire di no, direi il cinquanta per cento. Alcuni magari sono anche scritti bene, ma se non servono al mio percorso che li faccio a fare? Certo, con il collasso generale degli intellettuali, nell’era degli iPhone trovare cose belle da raccontare è difficile. Sembriamo tutti un po’ sedati».

 

Che vuol dire?
«Sempre più distratti e meno empatici, che per il cinema è la fine.

Auguriamoci che passi».

Da quando “Enea” è nelle sale che cosa l’ha sorpresa di più?
«Ho provato a invitare al cinema tutti i miei amici e quasi tutti l’avevano già visto. E questo significa solo una cosa: se si dice qualcosa, si crea curiosità e dibattito, la gente al cinema ci va. Non ci sono solo supereroi: bisogna reagire e fare altro». 

Quanto c’è del personaggio di Eva in lei?
«Parecchio. È una donna che ama liberamente, senza pregiudizi - anche se lei ed Enea sono molto diversi - e per questo cerca di portarlo in una strada alternativa fatta di serenità. Cosa che in quel contesto la fa sembrare quasi un alieno».

Lei più o meno è serena?
«Ci provo. Mi piacerebbe non avere l’ansia, mentre voglio inquietudine e malinconia, che mi fanno crescere. Solo che di questi tempi tutto quello che abbiamo intorno ci parla di ansia».

Cosa l’angoscia di più?
«Guerre, solitudine, violenza... Se non cambiamo sul serio, viene giù tutto. Se fosse davvero la soluzione, comincerei buttando i telefonini, che ci hanno avvelenati. L’iperconnessione ormai è una follia di massa».

Ha iniziato a lavorare a 15 anni: il tempo di sognare qualcosa l’ha avuto?
«Per fortuna, no. La naturale incapacità di visualizzare un futuro quando si ha 17 anni, oggi non è più accolta in maniera naturale, ma come un fallimento. Quindi sono stata fortunata a fare per caso il lavoro dei miei sogni. Non ho avuto quel problema dell’horror vacui in cui ovviamente sarei finita come tanti della mia generazione».

E dieci anni di lavoro cosa le hanno insegnato?
«Che non lo faccio per avere successo, ma per me. Con questo mestiere ho imparato a fidarmi di quello che la pancia mi dice, subito, e a prendermi delle responsabilità. Un po’ sono cresciuta».

Da dieci anni va dall’analista: il punto di rottura qual è stato?
«Ero adolescente, ci sono andata per essere più in contatto con me stessa, visto che sono una che cerca sempre di sfuggire mentre l’analisi mi tiene concentrata su me stessa. Non ho ancora finito di imparare».

Viene mai fraintesa?
«Ogni tanto temo, con la faccia che ho, di passare per seriosa e poco ironica. Io invece amo ridere, anche di me stessa. Sono socievole e mai lagnosa».

Però ha detto di essere scappata da Roma Nord, «È una zona della città fredda, mi fa venire angoscia, così ha comprato casa altrove»: dove?
«A Monteverde vecchio. Io sono cresciuta alla Balduina, un posto con belle case e giardini dal quale sono andata via perché c’è un clima molto poco indulgente verso gli altri. Lì non mi sento accolta, sento uno sguardo addosso che non mi è mai piaciuto e io non posso stare nei posti dove c’è quell’energia così negativa, una rabbia repressa che tutti sono pronti a vomitarti addosso da un momento all’altro».

Primo grazie a chi lo deve?
«Fiamma Consorti (consulente artistica, moglie dell’attore Paolo Calabresi, ndr). è lei che ha visto in me un potenziale, io non ci avrei mai pensato. Avevo 16 anni, uscivo dalla mononucleosi, ero pallida e con le occhiaie. Ha insistito perché ha visto qualcosa: “Queste tue borse sotto gli occhi sono belle...”».

Sua madre lavora al Quirinale (capo della segreteria del consigliere giuridico del presidente), suo padre insegna: l’hanno incoraggiata?
«Quando hanno visto che c’era continuità nel lavoro hanno tirato un sospiro di sollievo, si sono innamorati di questo lavoro. Certo, sono i miei primi giudici: li adoro, ma sono cattivissimi...».

Ho letto che ha una stylist, Sarah Grittini, che la segue sempre e insieme cercate la stonatura: che vuol dire?
«Non voglio vestirmi come un albero di Natale e, come nella vita, l’imperfezione non voglio nasconderla. È normale, umanizza». 

Per caso paga anche un’armocromista?
«Nooo... (ride)». 

Ma è stata davvero bullizzata a scuola perché piatta?
«Ma quando mai... Era solo una battuta. Semmai sono stata un po’ crudele io con i miei poveri ex compagni di scuola. Lavorando non riuscivo ad allinearmi al programma di studi e pretendevo degli aiuti. Li maltrattavo».

Rifarà il seno?
«No».

Ha sofferto per qualche pregiudizio?
«Sono una bella ragazza. Ogni tanto l’atteggiamento di sufficienza tipo “vediamo questa che sa fare” lo percepisco. È normale, non me la prendo».

E quello che lei esercita più frequentemente qual è?
«Quando penso di capire qualcuno al volo, alla prima occhiata».

Cosa la definisce, oggi?
«Non lo so. Forse John Lennon, le sue battaglie, la sua sensibilità. Lui mi rappresenta. Anche la musica. Mi piace cantare. Amo Cohen, Battiato, Battisti...».

Di recente ha detto che la fama non può valere solo quando fa comodo, quindi la domanda è facile facile: è tornata con Riccardo Scamarcio? Ora vivete insieme? 
«Oddio. Lasciamo perdere, dai...». 

Tutto bene?
«Tutto bene. L’amore è amore».

Ha detto di cercare di sapere sempre ciò che non vuole: cosa non vuole adesso?
«Non voglio sedermi sui miei punti di forza».

E quali sarebbero?
«Apprezzare la scomodità. Non accontentarmi. Andare sempre dall’altra parte».

Dove vuole arrivare?
«Vorrei non tradire me stessa».

E vorrebbe lavorare all’estero, tipo in America o Francia?
«Certo».

E gli impegni solenni, nozze, figli...?
«Che siamo matti? Per ora, no».

La cosa più illegale che ha fatto qual è stata?
«Qualche volta da giovanissima ho fatto la spericolata e un po’ ubriaca ho guidato contromano. Roba da deficiente. E di notte entravamo nelle case occupate dagli zingari. Così, per il brivido. Ero un cane senza collare».

© RIPRODUZIONE RISERVATA