Lo sfogo di Scavazza jr: «Costretto ad andarmene, ma vorrei tornare a Sabaudia»

Lo sfogo di Scavazza jr: «Costretto ad andarmene, ma vorrei tornare a Sabaudia»
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Martedì 22 Febbraio 2022, 15:10 - Ultimo aggiornamento: 15:18

IL RETROSCENA
«Ho un grande desiderio di tornare a Sabaudia ma non so cosa accadrà. Per ora ho perso tre anni di vita e quasi distrutto la mia famiglia». Nicolò Scavazza oggi vive in Spagna ma è lui, insieme al padre Giovanni, che nel 2019 ha fatto esplodere nel vero senso della parola la vicenda degli stabilimenti balneari nella città delle dune o meglio gli omessi controlli su alcune strutture a fronte dell'accanimento nei confronti di altre. Come il Bounty' appunto che Nicolò gestiva con grandi difficoltà per l'accanimento nelle verifiche tanto da indurre il genitore ad un gesto clamoroso frutto della disperazione: un tentativo di incendio all'interno del Parco nazionale del Circeo come atto intimidatorio nei confronti del comandante della stazione carabinieri Alessandro Rossi che ieri è stato interdetto dal lavoro. Giovanni Scavazza era stato arrestato e per giustificare il suo gesto aveva raccontato che i soggetti istituzionali preposti al controllo degli stabilimenti balneari si erano accaniti contro il figlio mentre non sanzionavano gli illeciti commessi in altre strutture. Oggi quella denuncia ha trovato conferma nell'inchiesta della Procura. «Abbiamo festeggiato quando abbiamo saputo cosa è accaduto racconta Nicolò Scavazza dalla Spagna perché è venuta alla luce almeno in parte la verità visto che in effetti mancano ancora molti nomi rispetto al sistema che andava avanti da anni. Noi avevamo ragione e c'erano alcuni sciacalli che vivevano sulle illegalità mentre io, che amavo il mio lavoro, proprio a causa di quel sistema sono stato costretto ad andare via». Perché tutte le denunce presentate nel 2018 sulle presunte irregolarità realizzate dai titolari di alcuni stabilimenti erano rimaste lettera morta fino a quell'attentato incendiario che ha fatto partire le indagini. «Il Bounty' spiega era una struttura giovane, realizzata con materiale riciclato per rispetto dell'ambiente, dinamica e avevamo raggiunto un ottimo livello di clienti ma contro di me c'è stato un accanimento ingiustificato, un trattamento completamente diverso rispetto a quello riservato ad altri gestori. Eppure ci sarebbe lavoro per tutti e l'immagine di Sabaudia ne uscirebbe sicuramente meglio ma gli arresti di oggi gettano davvero una brutta luce sulla città». Da quanto emerge non era davvero un segreto che alcuni chioschi e stabilimenti godevano di una protezione dall'alto. «Era un sistema racconta Nicolò ma sono rimasti tutti zitti. Per me è terribile pensare che dopo anni di lavoro e di sacrifici ciò che resta del Bounty' è un cancello chiuso: io ho ancora un contratto ma davvero non ho ancora deciso cosa fare, se tornare o meno. Mi piacerebbe ma non so».
Nel frattempo il padre Giovanni, che aveva confessato subito dicendosi pentito per quel tentativo di incendio, ha subìto un processo assistito dagli avvocati Gaetano Marino e Giampiero Vellucci, che si è concluso con una condanna a 3 anni in primo grado nel quale l'Ente Parco si era costituito parte civile.
Elena Ganelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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