Manuel Valls: «Difendo le élite in Europa, senza non c’è democrazia»

Manuel Valls: «Difendo le élite in Europa, senza non c’è democrazia»
di Elena Marisol Brandolini
4 Minuti di Lettura
Sabato 11 Maggio 2019, 00:27 - Ultimo aggiornamento: 07:21
BARCELLONA Manuel Valls è stato primo ministro francese sotto la presidenza di François Hollande. Avendo perso le primarie socialiste per la presidenza della Repubblica, nel 2017 abbandonò il PSF dopo 37 anni di militanza, sostenendo Emmanuel Macron candidato per En Marche. Di padre catalano e madre svizzera-italiana, si presenta candidato a sindaco di Barcellona, ove è nato nel 1962, nelle elezioni amministrative del prossimo 26 maggio in Spagna.

Perché lei che è stato nel Psf per anni si presenta con Ciudadanos?
«Perché credo che lo scontro oggi sia tra forze progressiste, democratiche, europeiste e il populismo. E poi perché guido una piattaforma indipendente, vengo dalla sinistra francese, il numero tre della mia lista è un ex-ministro di Zapatero, c’è gente che proviene dal catalanismo moderato, dal centro-sinistra, dal centro-destra e Ciudadanos è un partito liberale, progressista e europeista».

Che risponde quando le dicono che lei è il candidato delle élite?
«C’è un punto comune in tutti i populismi di sinistra e di destra che è nella critica alle élite. Le élite in una città sono i talenti, Barcellona non è la capitale di uno Stato e ha bisogno di talenti, ci sono élite nello sport, nella cultura, nelle politiche sociali, nell’economia. Una società senza élite non è democratica».

Perché lei che è repubblicano criticò la mozione contro la monarchia approvata dal comune di Barcellona?
«La democrazia in Spagna fu possibile grazie al re Juan Carlos e a tutte le forze politiche che decisero che il re era il capo dello Stato. Voler far saltare la monarchia è aprire un dibattito molto pericoloso, perché può provocare un ritorno indietro». 

Lei andò a Plaza del Colón a Madrid con PP, Ciudadanos e Vox, se n’è pentito?
«Perché avrei dovuto? Ci andai per difendere 40 anni di democrazia, i migliori della Spagna, una Costituzione del ’78 che è una delle più avanzate nel mondo. Andare là dove si difende l’unità della Spagna con grandi partiti costituzionalisti come il PP e Ciudadanos...».

C’era Vox che non è un partito costituzionalista, vuole abolire le Autonomie.
«Ma la mia posizione è chiarissima rispetto a Vox. Io sono contro tutti i nazionalismi di estrema destra e di estrema sinistra e contro il separatismo catalano, perciò posso stare dove sia per difendere la Costituzione spagnola. Sono candidato a Barcellona e in Catalogna il pericolo oggi non è Vox, è il nazionalismo, il separatismo che è frattura, suprematismo».

Veniamo alle elezioni di Barcellona, lei ha messo l’accento sulla sicurezza.
«Barcellona si è degradata per la crisi economica, per il processo indipendentista con le imprese che se ne sono andate e per la gestione della sindaca Colau. Sono i barcellonesi a dire che oggi il primo problema è quello della sicurezza. Il futuro sindaco deve affrontare questa questione, dando più risorse alla Guardia Urbana e favorendo una maggiore cooperazione tra i corpi di sicurezza».

Lei ha detto che risolverebbe il problema dei venditori ambulanti in 90 giorni, come?
«In primo luogo c’è una questione che riguarda l’occupazione dello spazio pubblico, poi c’è un problema di attività economica illegale e di concorrenza sleale. Il messaggio dev’essere chiaro: è finita la possibilità di occupare lo spazio pubblico e si deve collaborare tra corpi di sicurezza, si deve lavorare con la giustizia, gli Interni, la polizia portuaria».

Che propone per calmierare il mercato dell’affitto?
«L’unico modo per abbassarne il prezzo è aumentare l’offerta, costruendo di più e meglio. C’è terreno edificabile di proprietà del comune di Barcellona che permette un patto con il privato».

Il 28 aprile ci sono state elezioni politiche in Spagna, qual è stato il messaggio delle urne?
«La gente vuole moderazione, c’è stata una mobilitazione importante contro l’estrema destra e in Spagna abbiamo bisogno di patti, non c’è nessun partito che abbia la maggioranza assoluta».

Andiamo oltre i Pirenei. Si è detto che l’incendio di Notre-Dame è un’allegoria della Francia.
«L’incendio ha commosso il mondo. Più che l’aspetto negativo dell’allegoria vedrei il contrario: una forma di patriottismo mondiale nei confronti di Parigi. Vedo nella forza dei francesi la volontà di ricostruire un messaggio positivo. Le società moderne hanno la sfida della democrazia, della convivenza; cercare l’unità di un paese è difficile ma è l’unica via possibile. E quello che dice Macron che il grande dibattito è tra la democrazia, l’Europa, i valori e il populismo è giusto, in Francia come in Spagna, in Europa».

Che ne pensa della gestione di Macron nella crisi dei gilet gialli?
«I gilet gialli sono un sintomo di quello che si è visto con le elezioni di Trump. C’è gente che si sente fuori del sistema, o nei quartieri delle città o nel middle west di ciascun paese. Gente che ha l’impressione di non essere ascoltata, classi medie che soffrono la perdita di potere d’acquisto. A me sembra che le proposte che fa Macron sono la risposta necessaria, ma governare è difficile. E’ difficile in un mondo in cui sinistra e destra non vogliono dire granché, con la crisi economica, dove la gente sente che il potere di un paese conta poco rispetto alla globalizzazione e il discorso populista arriva molto più facilmente. Quello che dimostra Macron è che si deve resistere, non contro la gente, ma sui grandi principi e le riforme necessarie. E io trovo che Macron resiste e resiste bene».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA