Giuseppe Vegas
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Principi violati/La democrazia ai tempi del consenso sui social

di Giuseppe Vegas
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Domenica 11 Giugno 2023, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 23:43

Cosa sta accadendo alle nostre democrazie? Perché sta venendo meno la capacità attrattiva di cui hanno goduto fino a ieri? Perché nei paesi di consolidata tradizione democratica molti cittadini stanno perdendo fiducia nella bontà del sistema di organizzazione politica nel quale vivono? Per riprendere le parole di Winston Churchill, è ancora vero che la democrazia sarà anche la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre che si sono sperimentate finora? E infine per quale motivo sistemi totalitari e populisti stanno suscitando crescente interesse non tanto quando sono praticati, laddove i popoli ne subiscono la dirette conseguenze, ma anche nei paesi che appartengono al cosiddetto mondo occidentale?


Si tratta di interrogativi ogni giorno più inquietanti, per rispondere ai quali non ci si può esimere di svolgere qualche considerazione circa i cambiamenti sostanziali che hanno avuto luogo negli ultimi anni nella società. Sono così andate mutando le modalità di assunzione delle decisioni politiche e di definizione dell’agenda delle priorità.
In questo quadro, i mezzi di comunicazione di massa hanno assunto una crescente importanza, sia come strumento di diffusione delle conoscenze, sia di coinvolgimento di tutti i cittadini e non solo degli elettori. Assistiamo ogni giorno ad una sorta di referendum quotidiano sulla bontà  non solo delle scelte politiche, ma anche, o forse prevalentemente, delle regole dello stare insieme comune. L’esplosione dei metodi di trasmissione di dati e notizie per via informatica e di preferenze grazie ai “social”, ha consentito a tutti e a ciascuno di far valere le proprie opinioni, di comunicarle agli altri e di pretendere una risposta dalla collettività.


La conseguenza è stata quella di recidere quella sorta di cordone ombelicale che legava le idee dei cittadini alle decisioni da assumere da parte dei loro rappresentanti in parlamento. Ne è derivato lo svuotamento, certamente non legale, ma in via di fatto, della funzione stessa della democrazia rappresentativa. Nessuno dunque sembra più disposto a delegare ad altri un potere di cui si sente titolare in proprio, né a dare corpo, nei fatti, al principio fondante dei sistemi democratici, che consiste nell’utilizzo della regola della maggioranza per individuare a chi sono affidati i compiti di governo. Tutt’al più le elezioni possono servire ad individuare a chi fa carico la responsabilità finale, ma non a sottrarre ad ogni membro della collettività, magari organizzato in gruppi di pressione combattivi, ma minoritari nel paese, il diritto ad indirizzare le scelte pubbliche. 


Ne è derivata una diffusa tendenza a definire plebiscitariamente l’agenda di governo, per obbligarla ad affrontare alcuni temi o ad escluderne altri.

Data la mancata resistenza alle nuove tendenze, il popolo dei social non si è più limitato a voler esprimere giudizi preventivi sulla bontà di un governo o sulle sue possibili iniziative, ma, considerando appunto governo e parlamento una sorta di relitto storico, si è posto l’obiettivo di indirizzare direttamente i comportamenti della società. Si tratta di un fenomeno ben noto da noi, ma che ha assunto una piega ben più virulenta ad esempio nel mondo anglosassone, dove la potenza mediatica è così forte da porre addirittura all’indice e ai margini della società chi non si adegua.


Vengono riscritte opere letterarie solo perché descrivono le caratteristiche fisiche dei loro personaggi, si impedisce la rappresentazione di opere liriche solo perché descrivono costumi disinvolti di categorie di persone, si bandiscono dall’insegnamento classici di autori che hanno illustrato la realtà dei loro tempi. Fino a sospendere nelle scuole dello Utah la lettura della Bibbia per il suo contenuto troppo violento. Sino a giungere a mettere in discussione la nostra civiltà ad opera della “cancel culture”. 


Abbattere le statue di Cristoforo Colombo per espiare le colpe della sottomissione dei nativi americani significa far finta di ignorare che le civiltà si sviluppano anche attraverso aspri conflitti, che, per quanto deprecabili, non si possono cancellare, perché fanno parte del passato.


Non possiamo nasconderci le conseguenze politiche ed istituzionali di questa nuova realtà. Ne è derivata la sostanziale disapplicazione del principio contenuto nelle moderne costituzioni, in base al quale il potere è affidato a chi consegue la maggioranza dei consensi elettorali, per essere consegnato nelle mani dei pochi che sono in grado di influenzare giorno dopo giorno, le opinioni e i comportamenti dei molti. Silenziosamente la sovranità popolare ha abdicato per aprire la strada ad un sistema che dà potere a chi rappresenta solo se stesso. Nell’illusione di contare più di prima, il comune cittadino è abbandonato alla solitudine che deriva dall’impossibilità di potersi riconoscere in un contesto omogeneo, sia quello di un’idea politica, sia di una realtà culturale, sia di un modello di civiltà. 
In questo quadro, non poteva mancare la ciliegina sulla torta: la Commissione Europea ha proposto ultimamente la creazione di un organismo etico indipendente per valutare la compatibilità etica delle persone che vengono a contatto con le istituzioni comunitarie. Con buona pace di chi pensava che lo Stato etico fosse una prerogativa dei regimi totalitari.

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