Francesco Grillo
Francesco Grillo

Unione a metà/ L’Europa e il progetto (incompiuto) di democrazia

di Francesco Grillo
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Giovedì 23 Dicembre 2021, 00:00

«Lo Stato non può tassare chi non è politicamente rappresentato in questo Parlamento». Fu il Primo ministro inglese William Pitt a fornire - in un discorso nel quale ammise il diritto dei coloni americani a ribellarsi ad uno Stato del quale non erano cittadini - quella che è una delle leggi fondamentali della democrazia. 

Sono passati 244 anni dalla rivoluzione che portò alla nascita degli Stati Uniti, ma quelle parole restituiscono ancora una delle letture più interessanti dei motivi che rendono l’Unione Europa una costruzione incompiuta. La pandemia ha reso chiaro che abbiamo un bisogno disperato di un salto nei livelli di integrazione, ma tale salto è infattibile se non troviamo il modo di far sentire i cittadini europei rappresentati da istituzioni di cui spesso ignorano persino i nomi. Ed è questo il problema che la “Conferenza sul futuro dell’Europa” - presieduta dai presidenti di Parlamento, Commissione e Consiglio - sta affrontando.

Il dibattito sul “deficit democratico” è uno di quelli che da più tempo si agita in tutti gli incontri organizzati dalle think tank europee preoccupate per il futuro dell’Unione. Del resto, il male neppure tanto oscuro dell’Europa esiste.

La percentuale di elettori che partecipa alle elezioni dell’unico Parlamento transnazionale del mondo è in costante diminuzione, anche se nel tempo il suo potere è progressivamente aumentato. 

In realtà l’unica eccezione a questo trend è stata proprio quella del 2019 che è coincisa, però, con il miglior risultato di sempre di partiti euroscettici per i quali il Parlamento nemmeno dovrebbe esistere (arrivarono al 31%). 

Le ragioni che possono spiegare il paradosso sono diverse e hanno a che fare con lo stesso meccanismo attraverso il quale il Parlamento Europeo viene eletto. Le elezioni europee sono, in realtà, la somma di ventisette elezioni nazionali. Si svolgono in giorni diversi (nel 2019 si tennero tra il 23 e il 26 maggio) e lo spoglio dei voti in un Paese mentre in un altro i seggi sono ancora chiusi, viola persino l’obbligo di oscuramento di qualsiasi sondaggio nei giorni che precedono una consultazione. Viene, inoltre, negato il principio che esista una cittadinanza europea che prescinda da quella nazionale, ma anche quello elementare che ciascun parlamentare rappresenti tutti gli elettori: si può votare ed essere votati solo nello Stato nel quale si risiede (e, in alcuni casi, si chiede di parlarne la lingua). Per avere un senso di quanto l’Unione Europea sia distante da quella che è la democrazia in uno Stato normale, è come se, in Italia, una persona che risiede in Campania abbia diritti politici limitati a quella sola Regione. Ancora più paradossale è la conseguenza del fatto che i collegi elettorali sono su base regionale e vince chi prende il maggior numero di preferenze: ciò significa che tra un cittadino che ha i propri amici concentrati in un solo territorio, ed una persona più mobile che ha lo stesso numero di elettori potenziali ma dispersi tra più Paesi, il secondo ha molte meno possibilità di essere eletto, anche se avrebbe gli interessi e le “competenze” per meglio affrontare i problemi di cui le istituzioni europee devono occuparsi.

Sono meccanismi obsoleti che portano all’emersione di una classe sociale sempre più globale e, però, del tutto irrilevante dal punto politico.

Il rapporto del Comitato per gli affari costituzionali del Parlamento ha presentato una prima proposta in bozza curata dal relatore spagnolo Domenec Devesa e prevede una serie di significativi miglioramenti: si propone di votare tutti nello stesso giorno (il 9 maggio, che è anche il giorno in cui si festeggia l’Europa); si istituisce un’unica lista transnazionale con la quale eleggere 46 membri del prossimo Parlamento (che sono il 6% dei 705 che vi sono rimasti dopo l’uscita del Regno Unito); si prevedono, però, una serie di meccanismi che – come per le liste bloccate nelle elezioni italiane – assicurino che i seggi si distribuiscano tra candidati che vengano da tutti i Paesi dell’Unione ed in maniera tale da rispettare una parità di genere.

Sarebbe questo un passo avanti importante e, tuttavia, questa proposta, nonostante alcuni compromessi, non ha grandi possibilità di evitare di infrangersi sul muro delle unanimità che intrappola l’Unione. Il parlamentare europeo Sandro Gozi che è stato un pioniere della transnazionalità essendo stato eletto in Francia dopo essere stato ministro in Italia (cosa questa che portò alcuni a chiedere che gli fosse revocata la cittadinanza), rafforza l’idea introducendo la previsione che il presidente della Commissione sia tra quelli indicati dai Partiti che si presentano alla competizione transnazionale. Il think tank italiano Vision propone, in maniera più radicale ma anche più semplice, che ciascun elettore possa scegliere se far parte del collegio europeo o di quello locale e che il numero di parlamentari transnazionali siano democraticamente determinati da quanti cittadini scelgono di partecipare alla competizione di tipo europeo rispetto a quella nazionale. Il voto elettronico consentirebbe inoltre di premiare i partiti e i candidati i cui voti sono meglio distribuiti tra Paesi diversi.

Con la crisi sanitaria e la decisione senza precedenti di creare debito comune (il Next Generation EU), si è spalancata una finestra di opportunità. Possiamo rendere l’Europa non solo più unita, ma capace di affrontare una crisi delle democrazie che dilaga anche a livello dei singoli Stati nazionali. Per riuscirci, però, dobbiamo rendere molto più politico lo stesso metodo con il quale cerchiamo più democrazia. Vanno bene le “conferenze sul futuro dell’Europa” ma esse devono diventare un appello alla mobilitazione di milioni di cittadini europei che devono chiedere ai propri governanti nazionali di sciogliere le ambiguità che hanno debilitato un grande progetto. Di scegliere a quale diversa velocità vogliono entrare in un futuro che non ci aspetta.
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