Mafia Capitale/Il processone al marcio di Roma
tra pizzini e campagna elettorale

Mafia Capitale/Il processone al marcio di Roma tra pizzini e campagna elettorale
di Mario Ajello
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Sabato 21 Novembre 2015, 02:12 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 00:34
E’ il dramma di una città, umiliata e offesa dall’aggressione dei poteri marci, condensato in un’aula bollente. «Visto il caldo che fa qui dentro, siamo già all’inferno?», sbotta uno degli avvocati difensori di Mafia Capitale. Un altro, il legale di Carminati, quel Giosuè Naso che si candida a diventare una star del dibattimento («La mafia a Roma non c’è!». E siamo alla versione seria di Benigni nella celebre gag di Johnny Stecchino: «Il vero problema di Palermo è il traffico»), derubrica subito a «processetto» quello che invece è il processone. «Vi pare cosa da poco stabilire - esclama andando via il grande avvocato Coppi, difensore del forzista Tredicine, quelli dei camion bar e delle castagne - se a Roma c’è la mafia oppure no?». E’ qualcosa di epocale, ecco, rispondere a questa domanda. Anche se nell’aula del marcio di Roma alla sbarra non i boss ci sono - Carminati è video-collegato dal carcere di Parma, Buzzi da quello di Tolmezzo - ma i cosiddetti rubagalline. Gli imputati minori, davanti agli occhi del mondo. Compresa la tivvù vietnamita. Un inviato inglese chiede: «Come potrò tradurre t’apro come ’na cozza? E a ’nfame fracico? E altre espressioni citate nelle intercettazioni che risentiremo in aula?». Il processone che comincia fa cominciare anche la campagna elettorale per Roma. Così.



Irrompe Roberta Lombardi, deputata grillina, e domanda: «Il Pd? Com’è che non è venuto il moralizzatore Orfini? Dov’è? Non dovrebbero costituirsi parte civile, ma costituirsi e basta». Semi-nascosto in un angolo, con uno sguardo tra paura e sfida, Pierpaolo Pedetti, presidente della commissione comunale patrimonio con fama da etico ma poi «ha preso a pija’ li soldi» di Mafia Capitale, come dice la moglie di Buzzi, ora a due passi da lui, imputata a sua volta: Alessandra Garrone. Look coatto, tutto jeans passato in varechina. Cerca di guardare sui monitor il consorte video-collegato. «Ma quell’ombra sfocata sarebbe mio marito?».



Non si vede un tubo (catodico) in quei piccoli schermi. Intorno ai quali si affollano tutti, invano: «Quello chi dovrebbe essere, il Cecato? Ma mica si vede l’occhio bendato!».



LA MOGLIE

Lady Buzzi sta nel lato sinistro dell’aula insieme a quelli delle cooperative: Claudio Bolla braccio destro di Buzzi e Sandro Coltellacci, un altro della gang. Un ex galeotto da banda della Magliana (poi assolto) che lavorava nella cooperativa di Coltellacci adesso lo vorrebbe sbranare: «Mi chiamo Armando Finoderlo, ho 57 anni. Lo vojo vede’ ’n faccia a Coltellacci. Se so’ rubati tutto e a noi c’hanno licenziato!». C’è la Roma ex proletaria e un tempo comunista. Insieme alla Roma di un pariolino eterno, Odevaine. Elegante, ciarliero. Sfrontato. I soldi, se li ha presi, staranno già altrove. Ha fatto il carcere ma non sembra. Si sente un vincente. «Io ero il facilitatore. E non immaginavo che il sistema fosse così corrotto!».



Due file davanti a lui - che viene dall’album di famiglia della sinistra romana ed è finito a stipendio di Buzzi e Carminati - siede, assai composto, il forzista Giordano Tredicine. A cui Buzzi diceva: «A Giorda’, se non t’arrestano diventi primo ministro». La corruzione bipartisan (almeno secondo i pm) a stretto contatto anche fisico. Intanto Carminati, Buzzi, Brugia, i boss e i mazzieri video-collegati (da Rebibbia c’è il benzinaio di Corso Francia, Roberto Lacopo quello che terrorizzava e picchiava gli imprenditori insieme a ”Spezzapollici” e chiedeva a Carminati: «E a questo che gli faccio? L’ammazzo?») fanno sentire dal carcere il loro peso. Guardano, non visti, questo maxi-palcoscenico da ribaltare trasformandolo nell’arma della loro vendetta. E già Buzzi, in una lettera, avverte: «Si è voluto colpire noi, per colpire la Ditta di Bersani. C’è un complotto politico».



La classica atmosfera romana, che non monumentalizza niente, non deve ingannare: la dominante presenza dei rubagalline non cancella la sostanza di una tragedia maestosa, dal punto di vista criminale, che ha devastato il corpo di questa città. «Io so’ er fratello de Carminati», dice uno e aggiunge rivolto ai giornalisti: «E nun c’ho niente da dirvi, solo che ce state a massacra’!». Lui con Er Cecato aveva un ristorante a Prima Porta. E il dandy Daniele Pulcini, costruttore? Sta defilato. Non si mischia agli altri imputati. Per un bagno nella piscina della villa durante i domiciliari è stato rimesso in carcere e poi di nuovo fuori: «Carminati? Mi sembrava una brava persona».



IL COMANDO

«A Roma comandiamo noi», è la frase (copyright Er Cecato) che dovrebbe campeggiare in quest’aula. Il brutto è che, sparando pizzini e minacce durante il lungo dibattimento, cercheranno di comandare anche la campagna elettorale più hard che Roma abbia mai visto.

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