IL RIENTRO
Dopo quattro giorni trascorsi in prigione, Serif dormirà una sola notte a Torino, da uomo libero. Questa mattina è previsto il rientro a Roma, «ci sono i rilievi da fare, le impronte, i test». In via Tuscolana, gli inquirenti lo sottoporranno a una serie di accertamenti irripetibili, a caccia degli indizi che mancano per incastrarlo. «Sono disposto a sottopormi a qualsiasi accertamento - dice lui più sicuro che mai - sono innocente, quella sera ero da un’altra parte. Se fossi colpevole e se avessi voluto fuggire non sarei mai tornato in Italia. Sono andato in Bosnia per prendere dei documenti per i miei figli». Serif è stanco, «la vita del carcere non è mai facile». Pensa di essere stato incastrato. «Non è vero che avevo litigato con Romano Halilovic - racconta - non è vero che avevo problemi con la sua famiglia. Lui se ne era andato dal campo perché aveva avuto problemi con molte persone, prendeva i soldi dell’affitto dagli abitanti del campo. Aveva avuto problemi anche con suo fratello, si erano menati».
IL PADRE
A casa Seferovic, intanto, c’è aria di festa. «Sono così felice che l’abbiano liberato, è un bravo ragazzo, non ha fatto niente di male. Hanno subito dato la colpa a lui per la storia della cinese - sbotta il padre Ejub - invece questa volta non ha fatto proprio niente. Ha sbagliato una sola volta nella vita, quando ha derubato quella ragazza (Yao Zhang ndr). Ma aveva confessato tutto. Mi aveva chiesto un consiglio e io gli avevo detto di costituirsi». A casa Seferovic c’è anche paura, timore di ritorsioni. «Ci sono dei bambini piccoli - continua il capofamiglia - a me dispiace per le vittime, abbiamo paura che ci succeda la stessa cosa. Hanno bruciato tutte le nostre baracche nei campi, siamo in mezzo a una strada, nessuno ci aiuta. Abbiamo paura che uccidano anche noi, ci hanno dato la colpa».
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