La grande caccia al Big Bang: «Ecco come cerchiamo la radiazione di fondo dell'Universo»

La grande caccia al Big Bang: «Ecco come cerchiamo la radiazione di fondo dell'Universo»
di Alessandro Di Liegro
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Lunedì 12 Settembre 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 17:02
«Siamo alla ricerca della radiazione di fondo dell’Universo, quella emessa al momento del Big Bang. Avremmo la possibilità di riscrivere i libri di fisica». Fulvio Ricci è il coordinatore del progetto Virgo, il “cacciatore” di onde gravitazionali, docente di fisica all’Università La Sapienza di Roma è stato fra i protagonisti della storica scoperta di questo tipo di radiazioni, che, come disse durante l’annuncio dello scorso febbraio: «inaugura l’era dell’astronomia gravitazionale». «Siamo di fronte a un modo completamente differente per studiare l’universo: i segnali osservati sono frequenze con le caratteristiche fisiche delle frequenze acustiche, ma non siamo assolutamente di fronte a fenomeno acustico».

Ha anche detto di preferire “sentire” l’universo, piuttosto che ascoltarlo Proprio perché siamo in grado di percepire questi segnali simili a quelli acustici, per costruire un messaggio diretto per pubblico, ci piace dire che siamo in grado di “sentire” l’universo. In realtà è perché ora siamo in grado di studiare fenomeni invisibili: per esempio la coalescenza dei buchi neri. I buchi neri non producono luce eppure siamo stati in grado di ricostruire dinamica del processo di fusione che ha generato le onde che abbiamo rilevato finora. Si tratta di fenomeni invisibili, riusciamo a sentire ciò che non si può vedere.

Il prossimo 17 settembre sarà a Sassuolo per il Festivalfilosofia, insieme a Paola Puppo, con il dialogo “Collisioni Cosmiche”. Prendendo il prestito il sottotitolo: di che si parla quando parliamo di onde gravitazionali?
«Si tratta di un concetto complesso che cerchiamo di trasferire in modo semplice a persone che non hanno una particolare preparazione scientifica: parliamo di piegature spaziali che si propagano, come increspature delle onde del mare. Increspature di quella tela che è il modo di interpretare lo spazio che ci circonda e che implica il cambiamento della distanza fra punti dello spazio, fra i corpi che occupano nello spazio e che concorrono a definirne le proprietà».

Cos’hanno di così speciale queste onde?
«Abbiamo due aspetti: il primo è che sono il complemento, la chiosa di tutte le proprietà sperimentali previste da Einstein. La loro misurazione diretta era la prova che mancava all’appello. Secondo: sono uno strumento, un modo per osservare l’universo come messaggero, completamente diverso da quello che abbiamo usato fino adesso.

Cosa potremmo scoprire?
«Potremmo capire cosa succede durante l’esplosione di una Supernova, quando una stella esplode e si trasforma in una stella di neutroni supercompatta o in un buco nero. Oppure potremmo riuscire a sentire ciò che è successo una frazione di secondo dopo il Big Bang».

Fino all’origine di tutto?
«Siamo convinti che esista una radiazione di fondo che abbia avuto origine al momento del Big Bang. In quel momento, quando nasce l’universo, l’energia è in una condizione straordinaria, non sappiamo nemmeno se sia possibile definirla “materia”. In una condizione del genere, le leggi della meccanica quantistica e della gravitazione, che ora sono in conflitto, è possibile che si armonizzino. Ma non solo all’atto del Big Bang. Anche studiando la materia all’interno delle stelle di neutroni, abbiamo condizioni di compressione tali».

Come fare per riuscire a “catturare” quest’onda?
«Siamo di fronte a una sfida tecnologica mostruosa perché è un segnale più debole di quello che abbiamo rilevato fino ad adesso. Si tratta di un’impresa per la quale bisognerà impiegare molti anni. Tutta la comunità scientifica mondiale è al lavoro. In Giappone stanno costruendo un interferometro che sarà pronto nel 2020 (In India si attende il via libera del Governo locale per la costruzione di uno in territorio indiano, ndr), è in programma il progetto eLisa (il progetto dell’Esa con tre satelliti disposti lungo bracci di un milione di chilometri che potrebbe partire verso la metà degli anni ‘30, ndr). C’è molta Italia in questa scoperta rivoluzionaria Il lavoro sulla scoperta delle onde è stato firmato da 150 ricercatori italiani. Più della metà di questi, però, non lavora in Italia. C’è una cosa che voglio, dire, però: la maggior parte di questi ricercatori si sono formati nelle università italiane. Il fatto che riescano ad andare all’estero e a trovare posizioni di rilievo, è indicativo del fatto che le nostre università offrono una preparazione adeguata».

Professor Ricci, si ricorda dov’era quando ha saputo dei primi dati provenienti da Ligo che annunciavano la scoperta delle onde?
«Ero nel mio ufficio e stavo, come sempre, attaccato al calcolatore, con il quale vivo praticamente in simbiosi. Quindi è arrivato il messaggio da Hannover, da parte di uno dei ricercatori italiani che lavora lì. All’inizio ho reagito con cautela, dato che avevo visto diversi falsi allarme. Poi, nei giorni, la convinzione è cresciuta e si è saldata la consapevolezza che era la volta buona».

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