Coronavirus, Houllebecq: «Dopo il morbo andrà tutto peggio»

Houllebecq: «Dopo il morbo andrà tutto peggio»
di Francesca Pierantozzi
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Martedì 5 Maggio 2020, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 15:42

Ha parlato. Non si osava nemmeno sperarlo, tanto il suo Verbo era atteso in quest'epoca di distanziamento che gli si addice più che a chiunque altro. E alla fine è arrivato: con una lettera, declamata ieri mattina alla radio France Inter. Sembra quasi di vederlo Michel Houellebecq, in mezzo alle righe di questo breve testo che in poche ore ha fatto il giro dei siti francesi, poi di quelli stranieri, poi dei commenti e delle riletture: quasi divertito dalla pomposità generale, lui che a qualsiasi retorica preferisce opporre una forma di leggero e disadorno cinismo. E probabilmente divertito anche dalla solita accoglienza che lo condanna da sempre, dalle Particelle elementari, fino a Sottomissione e a Serotonina, al ruolo di oracolo, di profeta della nostra ineluttabile decadenza. Cosa che non lo disturba come ha ripetuto più volte, senza bisogno di sorridere: «Accetto questo ruolo dominante con molta calma». Se avesse un titolo, la lettera con cui Houellebecq rompe il lockdown sarebbero le ultime tre parole: «Un po' peggio». Perché tanto vale spoilerare subito il pensiero dello scrittore sulla pandemia e i suoi veri o presunti apocalittici effetti collaterali: no, «dopo il confinamento non ci risveglieremo in un mondo nuovo, sarà lo stesso, solo un po' peggio».

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L'IRONIA
Sarebbe però sbagliato come sempre nei suoi romanzi ridurre lo scrittore a un presunto e impassibile pessimismo cosmico. O addirittura come fanno alcuni - sconsigliare la lettura del suo breve testo a chi è già a rischio depressione dopo settimane di cattività. Perché lo sguardo di Houellebecq sulla condizione umana non perde mai una comprensiva, se non benevola, ironia. L'epistola ha in realtà la forma di una risposta: risposta a considerazioni espresse sul confinamento, la letteratura, la morte, il tragico e quant'altro ispirato dall'epidemia, da tre suoi colleghi, l'ex pubblicitario Frédéric Beigbeder, la scandalosa Catherine Millet e il famoso Emmanuel Carrère: Houellebecq li cita precisando tra parentesi i luoghi in cui trascorrono il lockdown che - coincidenza - si trovano tutti fuori città, in riva al mare, in montagna o in campagna.

IL DISAGIO
Sul virus in sé lo scrittore non ha molto da dire: un «virus senza qualità» di cui si sa poco, che non è nemmeno «sessualmente trasmissibile» di cui infatti i letterati parlano malvolentieri preferendo scandagliare i meandri del confinamento e i suoi effetti sul mondo che verrà. A quelli, come Beigbeder, che non si sentono a disagio nel ritiro del lockdown, Houellebecq oppone i banali benefici del muoversi, cominciando con l'opporre Flaubert, che diceva che si scrive bene solo seduti, a Nietzsche, secondo il quale qualsiasi pensiero che non è nato camminando è senza valore: «Provare a scrivere se non si ha la possibilità, durante il giorno, di camminare a ritmo sostenuto per qualche ora, è altamente sconsigliabile: la tensione nervosa accumulata non si scioglie, i pensieri e le immagini continuano a vorticare dolorosamente nella povera testa dell'autore, che diventa rapidamente irritabile, se non pazzo».
Ringrazia poi, non senza una certa ironia, Catherine Millet, che si unisce al coro di chi lo considera un oracolo e che vede nel suo La possibilità di un'isola (storia della fine dell'umanità) un'«anticipazione» della situazione presente. «Mi sono detto che alla fine è una bella cosa avere dei lettori, perché un simile accostamento non mi era proprio venuto in mente Se ci ripenso però è proprio quello che avevo in mente all'epoca sull'estinzione dell'umanità: non un kolossal, ma una roba abbastanza insulsa. Individui che vivono isolati nelle loro celle, senza alcun contatto fisico con i simili se non qualche scambio via computer sempre più raro».

LA LETTERATURA
Insomma, una fine senza gloria. Né qualche speranza va riposta nella letteratura che secondo Houellebecq rispondendo qui a Carrère - non trarrà beneficio dall'epoca presente. Il coronavirus è molto più banale della peste. Il mondo si chiude davanti a un'epidemia che non sa controllare, si stravolgono le abitudini, le relazioni, la macro e la microeconomia? Niente da segnalare, risponde Houellebecq. «Non credo nemmeno per un secondo alle dichiarazioni tipo niente sarà più come prima' scrive Al contrario, tutto resterà uguale. L'Occidente non è eternamente, come per diritto divino, la zona più ricca e sviluppata del mondo; tutto ciò è già finito da un pezzo, non c'è nessuno scoop».

IL CATACLISMA
Davanti a quello che sembra un cataclisma, un'apocalisse, una rivoluzione epocale, Houellebecq vede solo la conferma di quanto detto e ridetto: «Il coronavirus non fa che accelerare alcuni cambiamenti già in atto», dalle piccole cose come i video on demand o i pagamenti contactless, fino al «telelavoro, gli acquisti on line, i social network».
Conseguenza di tutto questo, di cui non si può nemmeno dare la colpa al virus: «L'obsolescenza programmata delle relazioni umane». Si calmino anche quelli che in questa tragedia planetaria hanno riscontrato un ritorno del «tragico, della morte, della finitezza umana», eccetera, eccetera, eccetera. Mai come ora, scrive Houellebecq, la morte sarà stata tanto dissimulata: «Le persone muoiono all'ospedale o nelle case di riposo, vengono subito seppellite (o cremate? è più nello spirito del tempo), alla presenza di nessuno, in segreto Le vittime diventano un'unità nella statistica dei morti quotidiani, e l'angoscia che si diffonde nella popolazione a misura che il totale aumenta, ha qualcosa di stranamente astratto».
Francesca Pierantozzi
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