«Il vaccino italiano funziona». Ma lo Spallanzani: è presto. Cure con anticorpi “costruiti”

«Il vaccino italiano funziona». Ma lo Spallanzani: è presto. Cure con anticorpi costruiti
di Valentina Arcovio
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Martedì 5 Maggio 2020, 07:43 - Ultimo aggiornamento: 12:09

Nella grande corsa alla ricerca di una cura e di un vaccino contro il nuovo coronavirus l'Italia marcia certamente nelle prime file. Oltre al già noto vaccino sviluppato da una collaborazione tra l'azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia e l'Istituto Jenner dell'Università di Oxford, già in corso di sperimentazione su circa mille uomini e donne sane, ci sono grandi aspettative anche per un altro siero, questa volta tutto italiano. Si tratta del vaccino sviluppato dall'azienda di Castel Romano Takis e i cui test sono al momento in corso presso l'Istituto Spallanzani di Roma.

Ieri Luigi Aurisicchio, amministratore delegato di Takis, ha riferito che gli anticorpi generati nei topi dal loro vaccino funzionano. «Per quanto ne sappiamo, siamo i primi al mondo ad aver dimostrato la neutralizzazione del coronavirus da parte di un vaccino», riferisce. «Ci aspettiamo che questo accada anche nell'uomo», aggiunge, precisando anche che il prossimo passo sarà di «capire quanto tempo dura la risposta immunitaria».

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SPALLANZANI CAUTO
Rispetto a questo annuncio sensazionalistico, più cauta e prudente è stata la risposta dell'Istituto Spallanzani, secondo il quale i risultati sono ancora in corso di valutazione. «Sulla base dei dati sinora disponibili l'Istituto, per quanto a propria conoscenza, ritiene che non sia possibile giungere a conclusioni di qualunque natura sull'efficacia del potenziale candidato vaccinale», precisa lo Spallanzani in una nota. Ad ogni modo le prime sperimentazioni sull'uomo inizieranno probabilmente dopo l'estate. Inoltre, se tutto andrà bene il vaccino non sarà disponibile prima del prossimo anno. Sui tempi il vaccino per metà italiano e per metà britannico, quello della Advent-Irbm di Pomezia e dell'Istituto Jenner dell'Università di Oxford, sta viaggiando più velocemente. Se tutto andrà bene, infatti, a settembre potrebbero ricevere le prime dosi gli operatori sanitari e le Forze dell'Ordine.

LA CURA
Sul fronte della ricerca di una cura efficace c'è anche una grande novità e riguarda lo sviluppo di anticorpi in grado di inibire l'infezione nelle cellule. I ricercatori dell'Università di Utrecht, in Olanda, ne hanno annunciato ieri lo sviluppo in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications. Ma anche l'Italia è già avanti su questo fronte. «E' la strada giusta ed è quella che stiamo cercando di percorrere anche noi che abbiamo sviluppato un anticorpo grazie alla collaborazione di partner internazionali», riferisce Giuseppe Novelli, genetista all'Università Tor Vergata di Roma che è alla guida di un progetto internazionale per la ricerca di un anticorpo monoclonale in grado di neutralizzare il Sars-CoV2.

«Con il nostro gruppo di ricerca, insieme a quello del professor Pandolfi a Boston e a quello dell'Università di Toronto, abbiamo al momento due anticorpi monoclonali che stiamo cercando di testare e che vorremmo sperimentare anche in Italia in fase clinica insieme a Canada e India. Ora stiamo aspettando risposte dalle istituzioni ma è la strada giusta», sottolinea Novelli. Questo approccio prevede la sintesi di anticorpi che sono in tutto simili a quelli umani e che possono essere usati nella terapia dell'infezione. Un po' come avviene nel caso della terapia a base di plasma, di cui oggi molto si parla, in cui gli anticorpi vengono estratti dal sangue dei pazienti guariti dal Covid-19. «Anche gli esperimenti col plasma dei guariti come quelli effettuati a Pavia e a Mantova vanno in questa direzione. Il principio è lo stesso solo che noi usiamo anticorpi purificati e prodotti in laboratorio», spiega Novelli. Inoltre, a differenza del vaccino, lo sviluppo di anticorpi potrebbe richiedere tempi più stretti. «Ci vuole minor tempo per la fase di sperimentazione clinica e minor tempo per la produzione», dice Novelli. «Servono per la cura dei pazienti infetti, mentre il vaccino è un'opzione più a lungo termine. E' più complicato da produrre e serve per la prevenzione a livello globale», conclude.

 
 



 
 
 

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