«Violenze, adesso le donne sono meno sole e più coraggiose»

L'8 marzo visto da Maria Belli, considerata "l'avvocata delle donne", da anni è impegnata nelle aule di tribunale a occuparsi dei più deboli, dei minori, delle donne, parte civile negli omicidi

L'avvocata Maria Belli
di Monica Forlivesi
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Venerdì 8 Marzo 2024, 17:22 - Ultimo aggiornamento: 18:05

A Latina è considerata l'avvocata delle donne. Maria Belli da anni è impegnata nelle aule di tribunale a occuparsi dei più deboli, dei minori, delle donne, parte civile negli omicidi.

L'8 marzo, Festa della donna, lei a cosa pensa, o a chi pensa?

«A chi non ce la fa e a chi non ce l'ha fatta. Alle sconfitte davanti ai muri, alla paura, alla solitudine, a chi è prigioniera di se stessa e degli altri. Non ho mai visto l'8 marzo come giorno di festa perché non c'è mai stato nulla da festeggiare, dovrebbe essere un giorno di consapevolezza, di commemorazione e di lotta. Madre Teresa diceva: fino a quando sei viva sentiti viva. Ecco, credo calzi ai nostri tempi e alle donne al buio».

Quando ha iniziato a fare l'avvocato di cosa si occupava?

«Era il 1986, mi sono dedicata subito al diritto di famiglia, mi sono avvicinata a un'associazione in difesa delle donne, poco dopo incontrai Tina Lagostena Bassi, ebbi l'onore di seguire un processo con lei. Una fortuna professionale, ma il caso era straziante, lo stupro e l'assassinio di una ragazza di Latina. Lagostena Bassi è stata un faro, era carismatica, forte, andava contro tutto e tutti, non era facile allora parlare di stupro, di violenza, la additavano, la deridevano, ma lei non indietreggiava mai».

Si ferma un attimo, poi emerge un ricordo: «Una sera eravamo in tribunale a Latina, due bambini di 5 e 6 anni erano stati abusati, c'era un sospettato, quando uscimmo il fratello dell'uomo tentò di investirci. Questo era il clima di quegli anni».

In questi 40 anni cosa è cambiato?

«L'evoluzione femminile c'è stata, le donne oggi sanno quali sono le conseguenze dei rapporti malati, cercano di porvi rimedio, si confrontano, sanno che c'è una rete alla quale rivolgersi, non vivono più il loro dolore chiuse in casa come fosse una vergogna, perché purtroppo scatta anche questo, non è facile dire che tuo marito ti usa violenza e che non riesci a tutelare i tuoi bambini.

Non è facile...».

Com'è cambiata l'oppressione nelle famiglie?

«Oggi la violenza è più cupa, una violenza di frustrazione, non si accetta la decisione dell'altro, non si accetta la decisione della donna. C'è frustrazione e mancata accettazione».

Il codice rosso, con i suoi strumenti in difesa delle donne, quanto ha cambiato la situazione?

«Tanto, è stato un grande passo avanti ma non basta. A volte ci scandalizziamo per alcune sentenze: la violenza sessuale non era possibile perché la vittima è troppo mascolina, oppure, deve esserci minaccia e se la vittima non ha urlato la violenza è di serie B. È evidente che bisogna rimettere mano alla legge».

Cosa pensa del divieto di avvicinamento, è una misura efficace?

«No. Il divieto di avvicinamento, con braccialetto elettronico, a 300 o 500 metri, non consente alle forze dell'ordine di intervenire, non ne hanno il tempo. Se una persona decide che vuole farti del male, e da 300 metri di distanza o 500 inizia a correre, il braccialetto suona ma nessuno riuscirà ad intervenire in tempo utile. Su questo dobbiamo essere categorici, servono nuovi sistemi, nuovi modi di protezione, ripensare le case rifugio e rivedere i risarcimenti. I processi sono lunghi, i beni vanno sequestrati in via cautelativa subito, altrimenti c'è tutto il tempo per sottrarli, per alienare tutto».

Dal processo per il massacro del Circeo tanto è cambiato nella tutela delle vittime?

«Tanti lo sostengono, non ne sono così convinta, c'è un grosso problema da affrontare: quello della vittimizzazione secondaria, nei processi si costringe ancora oggi la persona offesa a rivivere il trauma, spesso la vita delle vittime viene scandagliata, deve dare conto di tutta la sua vita precedente. E poi non si tiene conto del dopo. Mi viene in mente il caso di Noa Pothoven, una ragazza olandese di 17 anni, si è lasciata morire dopo aver subìto anni di violenze, e dopo che la sua richiesta per un suicidio assistito è stata respinta. Lei non ce la faceva a sopportare quel peso. Ma tutti si chiedono solo una cosa: è stato condannato? Per la vittima non finisce lì, la sfera intima è compromessa, il rapporto di fiducia con la società e con l'universo maschile è compromesso. Barbara Mariottini, la madre di Desirée, stuprata e uccisa a Roma, dice che la violenza sessuale è l'omicidio dell'anima, e ha ragione».

C'è un caso che l'ha particolarmente colpita in questi anni?

«Non parliamo dei delitti, una lunga scia, Desirée, Alessia e Martina, Nicoletta e Renée, rinnoveremmo solo la sofferenza per queste famiglie. C'è un caso di crudeltà che mi è rimasto particolarmente impresso, una donna vuole lasciare il marito, lui si oppone ma lei non cambia idea, lui prende il loro cane, lo cosparge di alcol e gli dà fuoco davanti alla donna, lei tenta di salvarlo e si ustiona. Ecco, crudeltà e frustrazione inaudite».

Avrà incontrato qualche esempio positivo?

«Tanti. Un grande esempio come uomo è stato il marito di Tina Lagostena Bassi, Vitaliano, lui l'ha completata, l'ha sostenuta, supportata, questo è l'esempio che quando una famiglia è sana si possono raggiungere grandi obiettivi. Un grande esempio di uomo».

Si sono rivolti a lei anche uomini in questi 40 anni?

«Certo, tanti per le separazioni e i divorzi. Casi di violenza due, perché esiste anche la violenza al femminile, ma la statistica non mente, i numeri sono incredibilmente inferiori. Questi due casi furono comunque terribili, uno dei due era un ragazzo giovanissimo, picchiato e maltrattato per anni dalla compagna che aveva il doppio dei suoi anni, ricordo la pena e la disperazione della madre di questo ragazzo che non riusciva a uscire da quella morsa di violenza».
Maria Belli sottolinea un altro cambiamento.
«Rispetto al passato vengono più persone anziane che si vogliono separare, una volta accettavano situazioni intollerabili, oggi molte non lo fanno più. E poi è fondamentale il ruolo della famiglie, spesso sono loro a prendere coscienza della situazione delle loro figlie, ragazze giovani oppresse dai fidanzati, anche tra gli adolescenti i maltrattamenti sono in aumento, sono le madri e i padri ad accompagnarle in questo percorso per tornare ad essere libere».
Monica Forlivesi
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