Donne aggredite, la poliziotta: «Non sottovalutate nessun sopruso. Le prove? Si indaga anche senza»

Pamela Franconieri
di Camilla Mozzetti
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Giovedì 16 Luglio 2020, 09:05

«La paura più comune tra le donne che sono vittime di violenza è quella di non essere credute quando provano a chiedere aiuto e la tendenza a volte a sottovalutare dei gesti, come l'impossibilità di uscire con gli amici, che possono invece essere il preludio di un maltrattamento futuro. Qualche anno fa una ragazzina venne da noi, mi sorprese la sua forza, denunciò gli abusivi che subiva in casa da parte del compagno della madre, la prima cosa che mi disse fu: Ho paura di non essere creduta. Ieri è arrivata la condanna per quell'uomo al di sopra di ogni sospetto: 9 anni per abusi sessuali compiuti all'epoca su una minore». Il messaggio è chiaro e lo sottolinea fin dal principio Pamela Franconieri, 45 anni, da tre dirigente della IV sezione della Squadra Mobile specializzata nel contrasto ai reati di violenza di genere.

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Dottoressa Franconieri partiamo da qui: dalla difficoltà e dalla paura che molte donne provano nel denunciare maltrattamenti e abusi. Come si possono aiutare anche a riconoscere un compagno potenzialmente pericoloso?
«La violenza di genere è un fenomeno culturale: è necessario far capire che la protezione prima e a seguire le indagini, volte a far luce su un abuso, vengono garantite a prescindere dalla presenza di prove certe. Prendiamo ad esempio uno stupro dove non ci sono testimoni oculari e per il quale la vittima denuncia a distanza di giorni, senza avere dunque un referto medico in mano. Questo non indebolisce la sua posizione né mette in discussione le sue parole. Tenga conto che su abusi e maltrattamenti i procedimenti per calunnia sono residuali. Molte donne, tuttavia, non riescono a uscire dal ciclo della violenza come lo chiamano gli psicologi».

Ce lo spiega?
«I maltrattamenti in famiglia solitamente seguono un medesimo canovaccio: il periodo in cui va tutto bene, quello dove iniziano le prime discussioni a cui seguono aggressioni fisiche e verbali e poi le scuse, i fiori, i regali per cancellare quello che è accaduto. Inizia un momento che è quasi una seconda luna di miele e poi si riparte da capo. Nei rapporti c'è sempre una figura dominante il fattore dirimente, però, è che non si trasformi in prevaricazione. E la prevaricazione può avere molti volti. Non ci sono solo le aggressioni fisiche, ma la violenza psicologica, perpetrata nei confronti della vittima che non può più frequentare amici o parenti o disporre liberamente del denaro familiare».

Le donne che non trovano la forza di presentarsi da voi su quali aiuti possono contare escluse persone terze che denunciano per loro?
«Durante il Covid è stata estesa a questa tipologia di reati, per volere del capo della Polizia, un'applicazione per cellulari chiamata Youpol che consente direttamente di chattare con un operatore della sala operativa: alla vittima basta un messaggio per chiedere aiuto».

Ha funzionato in questi mesi?
«Sì, ha funzionato bene anche in pieno lockdown perché si è sviluppato tra le vittime il pensiero di avere una via di uscita. Ricordo che c'è poi il numero verde dei centri antiviolenza: 1522».

Tecnologie a parte, come si possono spronare le donne a parlare?
«Uno dei pilastri resta l'informazione, il diritto della vittima a conosce quello che sarà l'iter. Le donne che vengono da noi, non sono lasciate sole nelle fasi investigative e per questo è importante che la storia ce la racconti chi la subisce. Se non si sentono protette attiviamo un ponte con i centri antiviolenza, talvolta la accompagniamo a prendere le loro cose per lasciare quella casa in cui si è state abusate».

Molte si spaventano anche di attendere un eventuale processo.
«Il maltrattamento in famiglia con l'evoluzione normativa è diventato un reato perseguibile d'ufficio e, dunque, si può procedere anche senza denuncia, ma con una segnalazione. Per i casi più gravi la protezione arriva con l'allontanamento d'urgenza, per alcuni può essere efficace anche un'istanza di ammonimento per violenza domestica che arriva con un provvedimento amministrativo firmato dal Questore».
 

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