Finto accento anglofono e un testo scritto a penna. Per quarant’anni chi ha letto uno dei messaggi di rivendicazione del rapimento di Emanuela Orlandi è stato solo una voce, oggi ha un volto e un nome. Si tratta di una donna di Roma Nord di 59 anni, ma nel 1983 - anno della scomparsa di Emanuela - era una diciannovenne.
Le indagini
La sua identità è stata svelata nell’ambito delle indagini legate al furto della bara di Kety Skerl, un’adolescente uccisa nel 1984, avvenuto al Verano nel 2022.
Rivendicazione
La registrazione spedita da Boston e arrivata in Italia il 6 dicembre 1983 è riconducibile a una donna di 59 anni, romana, che è già stata convocata dai magistrati. E davanti agli inquirenti ha ammesso il proprio ruolo nella vicenda, limitatamente alla realizzazione del comunicato di rivendicazione nel quale si reiterava la richiesta – già altrove avanzata – di uno scambio tra Emanuela Orlandi e Ali Agca, autore, il 13 maggio 1981, dell’attentato a Papa Wojtyla. «Sono stata coinvolta nella realizzazione del comunicato quasi per gioco, ignorando i complessi retroscena del caso», ha raccontato.
Avrebbe quindi registrato il messaggio, con un finto accento inglese, a Roma e consegnato il nastro a qualcuno che lo avrebbe poi inviato negli Stati Uniti. Fino a oggi l’unica certezza sulle voci dei presunti sequestratori era che uno dei telefonisti fosse proprio Fassoni Accetti: ciò all’esito di un confronto tra le caratteristiche della sua voce e di quella di «Mario», lo sconosciuto che chiamò casa Orlandi subito dopo la scomparsa. Oltre che della relazione tecnica elaborata da Marco Perino, consulente fonico della famiglia e di Netflix per la realizzazione della serie televisiva “Vatican girl”. A quanto risulta in quello stesso periodo, tra l’estate e l’autunno del 1983, la giovanissima moglie di Accetti, compagna di scuola della sorella, si trovava in vacanza proprio a Boston, come da lei stessa dichiarato.