Covid, iI capo dei pronto soccorso lombardi: «Serve lockdown in tutta Italia»

Covid, iI capo dei pronto soccorso lombardi: «Serve lockdown in tutta Italia»
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Martedì 27 Ottobre 2020, 13:58 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 14:54

I medici dei pronto soccorso lombardi chiedono di chiudere tutto, subito. Le strutture dedicate all'emergenza stanno collassando e stanno ricevendo malati che arrivano già con urgente bisogno di ossigeno. «Chiediamo di applicare, subito, le misure più restrittive di contenimento della diffusione del virus nella società, su tutto il territorio regionale, o almeno nelle aree più a rischio (come Milano) senza indugio e a costo di impopolarità. Le ultime misure rappresentano un passo avanti, ma purtroppo non sono sufficienti». È questo l'appello dei pronto soccorso lombardi. A farsene portavoce è Guido Bertolini, responsabile del Coordinamento Covid-19 per questi reparti. Sentito dall'Adnkronos Salute, chiarisce il senso del messaggio: «Ora bisogna chiudere. Siamo arrivati al punto che è necessario un lockdown. La situazione di rischio è generalizzata, riguarda tutta la regione. Soprattutto in alcune aree il sistema assistenziale è vicino al collasso. Milano è più avanti, ma anche altre province hanno quell'andamento esponenziale che preoccupa».

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«L'unica cosa che si può fare è chiudere tutto, un lockdown a livello nazionale - ribadisce Bertolini - La situazione nei pronto soccorso è drammatica, non solo in Lombardia, ma ovunque a livello nazionale». 

Per Bertolini il problema è proprio questo: «Quando la crescita esponenziale entra nella fase ripida di salita - spiega - non c'è più modo di controllarla. Ed è necessario chiudere. Ormai è tardi per altro. Qualunque misura ha effetti fra 10-15 giorni. Anche se chiudiamo tutto adesso, per 15 giorni andremo avanti a vedere questa crescita impressionante dei contagi e dei malati che hanno bisogno di cure con sofferenza degli ospedali.

Se i pronto soccorso sono in una situazione quasi ingestibile, ed è così, quella sofferenza poi arriva a tutti i livelli. Anche la società non viene risparmiata».

Per capire la preoccupazione dei medici il parametro è sempre quella immagine indelebile dei camion militari che trasportavano salme a Bergamo. Nessuno vuole tornare a vederla, come ha detto anche il governatore della Campania Vincenzo De Luca. 

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«Quello che non si riesce a comprendere è che lasciare aperto non significa che l'economia potrà correre, con una patologia di queste proporzioni in circolazione - spiega Bertolini - Gli effetti che genera, l'impatto sull'economia, temo siano maggiori di quelli che si avrebbero con la scelta di chiudere per un periodo limitato. Chi ha un esercizio non può accettare questa visione, ma i dati sono chiari e ci sono già studi che calcolano i costi della pandemia, indipendenti dalle chiusure». Bertolini è bergamasco e ha vissuto da vicino il dolore portato dalla prima ondata di Covid-19. «Temo che il lockdown saremo obbligati a farlo e lo capiremo quando inizieremo a vedere le stesse cose che abbiamo visto a Bergamo a marzo-aprile. Scene veramente impressionanti - come la processione di camion militari che trasportano bare - che tutti abbiamo nella mente. Penso che arriveremo lì perché ogni giorno di ritardo ha un impatto incredibile. Io capisco che bisogna salvaguardare l'economia, la società, ma qual è il modo migliore per farlo? A questa domanda non abbiamo ancora dato una risposta credibile. Ma è giusto che le persone sappiano qual è la reale situazione e in che direzione stiamo andando».

In Veneto

«Abbiamo costituito un gruppo di lavoro formato da specialisti clinici, per riformulare i protocolli della cura domiciliare». lo ha annunciato il presidente del Veneto, Luca Zaia. Lo scopo, ha precisato, è «per capire quale potrebbe essere, alla luce delle evidenze e dei flussi ospedalieri, che sono diversi da marzo, quale sia il miglior protocollo di cura affinché il paziente si senta sereno e sia seguito a casa. L'ospedalizzazione - ha concluso - è comunque un fatto traumatico». In Veneto «si continua a crescere di una cinquantina di pazienti in area non critica al giorno, in proporzione di uno a nove con le terapie intensive».

Nel Lazio ci sono persone che si presentano con 37.1

Medici «sotto pressione, perché la gente ha paura ed è disorientata, e non avendo risposte sul territorio si rivolge agli ospedali. Il medico di famiglia non può fare tutto, sta mancando l'organizzazione delle Usca. Ora ci ritroviamo a fare la guerra senza averla programmata, ma la guerra si prepara durante la pace e non durante la battaglia». Lo sottolinea Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei medici di Roma, ospite su 'Cusano Italia Tv'. «Siamo sotto pressione, legata anche al fatto - spiega - che molte persone si rivolgono al pronto soccorso anche se non ci sono motivi importanti. Ci sono persone che si presentano con 37.1» di temperatura. Ma «questo dipende anche dalla paura che tutti hanno, anche perché hanno avuto informazioni un pò a singhiozzo e contraddittorie. Ma così si crea un affollamento molto importante» degli ospedali.

Altro «problema» è «la carenza di posti letto per malati Covid che possono essere gestiti senza andare in terapia intensiva». «Al medico di famiglia - prosegue - sono stati dati troppi compiti per una persona sola. Deve visitare tutti i pazienti, deve fare tamponi, certificazioni, vaccini e questo non è possibile. Quello che sta mancando è l'organizzazione corretta delle Usca: oggi più che altro si stanno interessando dei tamponi, di mettere in campo azioni immediate per cercare di assistere le persone, ma non in maniera organizzata. Purtroppo continuiamo a vedere la sanità divisa in compartimenti stagni quando invece è composta da equipe che fanno parte di un'unica organizzazione». Infine, «ci sono buoni riscontri sull'efficacia dei tamponi salivari, utilizzare anche questi sarebbe più semplice e più pratico».

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In Umbria

In Umbria nell'attuale seconda fase della pandemia Covid «sono già stati superati i contagi della prima fase». Lo ha detto la presidente della Regione Donatella Tesei illustrando in Assemblea legislativa la situazione legata all'emergenza sanitaria. «L'epidemia - ha aggiunto - ha un ritmo giornaliero mai visto così come la velocità di propagazione. Un'onda completamente diversa dalla fase 1». La presidente ha parlato di un contagio «massivo e diffuso seppure senza focolai particolari». Tesei ha quindi ricordato che i ricoverati a oggi sono il 5,8% dei contagiati e le terapie intensive lo 0,6% (il 10% dei ricoverati). «Naturalmente - ha aggiunto - sono dati che non ci possono far stare tranquilli ma non possiamo certamente negare che l'onda è completamente diversa. Fatta prevalentemente da asintomatici e pauci-sintomatici. Tanto e vero che in questa fase due abbiamo trovato e isolato un numero maggiore di contagi che in tutta la gestione della fase 1».

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