Mister Morgan, sette domande alla regista Sandra Nettelbeck

Clémence Poésy, Michael Caine e Sandra Nettelbeck
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Giovedì 3 Aprile 2014, 18:08 - Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 17:24

A che punto della lettura del romanzo di Franoise Dorner La douceur assassine hai capito che avresti voluto girarne il film? Avevo letto circa cinque pagine del libro quando cominciai ad immaginare di farne un film. È sempre successo così per i miei adattamenti cinematografici: l’interesse o scatta subito, o non scatta proprio. Credo che molto dipenda dallo spazio che lasciano all’immaginazione e da quanto possano essere fonte di ispirazione.

Françoise Dorner è stata coinvolta nel processo di stesura della sceneggiatura?

No. Conobbi Françoise quando stavamo già girando a Parigi. Il suo agente, però, durante la lavorazione al film mi fece sapere che Françoise aveva letto la sceneggiatura e le era piaciuta molto. Fu un sollievo saperlo, visto che mi ero presa molte libertà nel trasporre la sua storia, pur cercando di mantenerne lo spirito.

Perché hai cambiato la nazionalità del protagonista del libro, il francese Monsieur Armand, trasformandolo nell’americano Mister Morgan?

«Si tratta del mio approccio personale alla storia; scrivo tutte le mie storie dal mio personale punto di vista. Non sarei stata la persona adatta per girare un film francese con un protagonista francese; non ho abbastanza dimestichezza con la lingua per scrivere una sceneggiatura in francese. Ho vissuto in Francia, ma senza imparare mai la lingua (posso tenere una conversazione, ma, per scrivere e dirigere in una lingua straniera, bisogna averne una padronanza completa e conoscerne tutte le sfumature). Questo è il punto di vista che capisco e conosco, ed è quella che ho dato a Matt. Anch’io ho vissuto negli Stati Uniti; ho imparato a fare film in quel paese. Parlare inglese fa parte della mia natura e mi piace moltissimo scrivere in inglese. I miei genitori si sono trasferiti in Francia circa 17 anni fa, perché amavano questo paese, il cibo e il vino; per cui avevo dimestichezza col tema di una coppia anziana che decide di trasferirsi in Francia. Mi affascinava l’idea di rivisitare il classico tema dell’americano a Parigi, giocare con i cliché ed esplorare lo shock culturale di un’esperienza del genere. Ero anche determinata a mostrare una Parigi diversa dallo stereotipo da film senza perdere di vista ciò che attrae un americano a Parigi, la sua natura romantica. Principalmente, però, ero interessata a quello che succede ad una persona quando si trasferisce nella città più romantica del mondo e si trova a perdere l’amore della sua vita. Matt non vuole lasciare Parigi perché non vuole lasciare ciò che gli resta della moglie, scomparsa da tempo. Allo stesso tempo, si sente tremendamente solo perché la sua famiglia è molto lontana. Sembrava un’ottima idea per la storia, perché aumenta l’impatto drammatico della perdita e del conflitto tra i membri della famiglia.»

Justin Kirk ti descrive come una “regista dalla parte degli attori” che sa come tirare fuori il meglio da ogni attore. Quando scrivi le tue sceneggiature – cosa che hai fatto per ogni tuo film girato finora – ti capita spesso di avere già un attore o un tipo di recitazione in mente? Ti capita di modificare la sceneggiatura durante le riprese?

«Raramente ho degli attori in mente quando scrivo la sceneggiatura; preferisco pensare al cast dopo la prima stesura. In questo caso, sono stata molto fortunata a scritturare Michael Caine e Clémence Poésy all’inizio del progetto. Mentre la sceneggiatura era già stata calibrata su Michael quando la lesse, io e Clémence lavorammo insieme sulla sceneggiatura, e la sua scelta per il ruolo di Pauline fu sicuramente ispirata. Il personaggio ha subito un’evoluzione significativa attraverso il suo input, la sua natura e le sue domande; si tratta di una situazione fuori dal comune, non capita spesso.

Normalmente non modifico la sceneggiatura durante le riprese; effettuo solo dei tagli. Spesso mi rendo conto che in una scena dei dialoghi che sembravano necessari sulla carta sono in realtà superflui. Altre volte aggiungo dei dettagli; attori come Justin Kirk o Gillian Anderson mi ispirano sul momento. Per Justin, ad esempio, ho scritto un dialogo cinque minuti prima di girare, perché ho deciso che volevo che fosse al telefono con suo figlio e non nella sua stanza di hotel. Ma questa è più o meno la portata dei cambiamenti in corsa. Non sono una regista che modella i personaggi una volta che le riprese sono inziate. Spero di riuscire a farlo sulla carta».

Descrivi Mister Morgan come una “commedia incantevole, dolceamara e malinconica”; un solitario ed anziano vedovo che ritrova la voglia di vivere quando conosce una giovane ed impulsiva donna francese. Cosa pensi che differenzi questo film e la sua storia di un rapporto tra un uomo anziano ed una giovane donna da altri film con da trame simili?

«Non c’è niente di sessuale nell’attrazione tra Pauline e Matt. La loro attrazione si basa su di un tipo diverso di bellezza, un desiderio non soddisfatto che entrambi hanno che ha a che fare con l’appartenere a qualcuno, non in un modo romantico; ma di sentire una grande affinità con un’altra persona. Credo che la loro connessione esista già nel momento in cui si incontrano sull’autobus. Il film non entra nel merito di questo concetto, ma raramente incontriamo qualcuno e subito abbiamo la sensazione che quella persona farà sempre parte della nostra vita. Credo che tra Matt e Pauline vi sia un’amicizia intima, e il modo in cui Michael Caine e Clémence Poésy interpretano questa relazione non lascia dubbi sulla sua natura e i suoi limiti. Mentre stavamo girando, sembrava un rapporto unico; spero sia così. Ma Mister Morgan è molto di più della relazione tra Pauline e Matt. Ha anche a che fare con il modo in cui Pauline aiuta Matt a farsi una ragione e a superare la perdita di sua moglie e il rapporto antagonistico con suo figlio. Joan è l’anello mancante della famiglia, e, in qualche modo, Pauline diventa quell’anello».

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