Omicidio di Serena Mollicone, il colonnello Imbratta: «Così indagammo la caserma di Arce e la porta»

Omicidio di Serena Mollicone, il colonnello Imbratta: «Così indagammo la caserma di Arce e la porta»
di Vincenzo Caramadre
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Sabato 20 Novembre 2021, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 13:54

È rimasta per anni appoggiata ad una parete, ora è diventata l'arma del delitto, il principale reperto del processo che dovrebbe fare finalmente luce sull'omicidio dei Serena Mollicone. Parliamo della porta contro cui Serena avrebbe sbattuto la testa il 1 giugno del 2001 quando, secondo la tesi dell'accusa, si trovava insieme a Marco Mottola in uno degli alloggi attigui alla caserma, in uso alla famiglia dell'ex comandante dei carabinieri della Stazione di Arce.

Nell'udienza di ieri, la storia di questo reperto è stata al centro della testimonianza del tenente colonnello Fabio Imbratta, l'ufficiale dei carabinieri che nel 2016 depositò l'informativa che fece riaprire le indagini indicando la porta come arma del delitto. Fu il primo a scrivere, dopo i sospetti avanzati del maresciallo Gaetano Evangelista, che la porta fosse arma del delitto.

Ma non solo.

Nelle lunga d'informativa del 2016 Imbratta ripercorre l'intera vicenda: dal giorno della scomparsa della 18enne, fino al ritrovamento del corpo, per finire al suicidio del brigadiere Santino Tuzi. Nel mezzo mille perché e tanti misteri, su tutti gli organi scomparsi.

La porta ammaccata scoperta tanti anni dopo 

Ma sul piano processuale è appunto la porta a rivestire grande importanza. Questo reperto finisce al centro delle indagini quando, secondo la ricostruzione della Procura, s'ipotizza che l'omicidio di Serena sia avvenuto in uno degli alloggi di servizio della caserma dei carabinieri di Arce in uso alla famiglia Mottola.

Punto di svolta la dichiarazione dell'ex brigadiere Tuzi, che rivela di aver visto una giovane entrare in caserma e ne descrive l'abbigliamento, corrispondente a quello di Serena. La porta, che inizialmente era montata in alloggio disabitato ma nella disponibilità della famiglia Mottola, poi viene spostata nell'alloggio del carabiniere Francesco Suprano (a processo per favoreggiamento). Suprano metterà la porta a disposizione degli investigatori nel 2008.

"Auguri Serenella". Oggi Serena Mollicone avrebbe compiuto 39 anni.

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C'è un particolare importante: la porta presenta un'ammaccatura ad altezza uomo. Come era stata provocata tale rottura? Secondo le prime testimonianze era stato proprio il maresciallo Franco Mottola a sferrare un pugno durante un litigio con il figlio. Una versione che però non ha mai convinto gli investigatori.

«Il punto di rottura - ha spiegato ieri Imbratta in aula - era troppo alto per un pugno e soprattutto perché avrebbe prodotto lesioni all'autore e non ci risulta che il maresciallo Mottola abbia mai avuto problemi del genere».

Prende allora corpo un'altra ipotesi, quella oggi al centro del processo: Serena, nel corso di un litigio con Marco Mottola, avrebbe sbattuto con la testa contro la porta e sviene. Poi, secondo la tesi dell'accusa, ci sarebbe stata l'agonia per soffocamento causata dal sacchetto con cui venne ricoperto il capo di Serena. Ad avvalorare la tesi della Procura sono state le conclusioni della professoressa Cristina Cattaneo sulla salma della ragazza riesumata nel 2016. Secondo la Cattaneo c'è una «elevata probabilità» che la rottura della porta sia compatibile con la frattura riscontrata sul cranio di Serena.

Come iniziò l'indagine 

Imbratta ha poi ricordato come si avvicinò al giallo Mollicone, nella primavera del 2013 pochi mesi dopo l'arrivo al comando della Compagnia di Pontecorvo: «La comunità di Arce chiedeva ai carabinieri una risposta, questa cosa l'ho sentito sulla mia pelle. Fu l'appuntato Venticinque a parlarmi del caso. Iniziai così il mio lento avvicinamento al caso». Il punto di partenza fu il lavoro svolto dal maresciallo Gaetano Evangelista, che aveva preso il comando della Stazione dei carabinieri di Arce al posto di Mottola: «Un lavoro importante e coraggioso perché, sospettando che gli ordini di servizio di Tuzi e Quatrale fossero falsi, ipotizzava il coinvolgimento dei carabinieri».

A detta di Imbratta, infine, il confezionamento del cadavere di Serena venne effettuato da chi «aveva chiare competenze criminalistiche».

Per la difesa di Mottola, che ha svolto il contro esame con l'avvocato Di Giuseppe, quelle di Imbratta sono soltanto «intuizioni».
 

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