Paolo Balduzzi
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Australia contro Fb/ L’esempio sull’editoria che la Ue deve seguire

Australia contro Fb/ L’esempio sull’editoria che la Ue deve seguire
di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 24 Febbraio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 23:55

Dall’altra parte del pianeta si è appena conclusa una battaglia cruciale per il futuro del mondo editoriale. I protagonisti di questa battaglia, che c’è da scommetterci interesserà sempre più Paesi, sono i giganti della tecnologia (Facebook e Google) da un lato e il governo australiano dall’altro. L’oggetto del contendere, invece, è la libertà o meno di queste grandi aziende di diffondere gratuitamente i contenuti dei mezzi di informazione sulle loro piattaforme. 
L’accordo, raggiunto dopo un intenso braccio di ferro, prevede che questi contenuti dovranno essere retribuiti. Lo si può affermare senza paura: si tratta della conferma legislativa di un principio giuridico - ma anche politico ed economico - sacrosanto. E cioè che la libertà e il diritto all’informazione non vengono garantiti solo dalla facilità con cui i contenuti editoriali vengono diffusi ma anche dalla necessità di retribuire adeguatamente chi questi materiali li produce. 

È un principio che a qualche economista farà venire in mente la cosiddetta “curva di Laffer”, una proposta della scuola di Chicago divenuta faro della politica fiscale reaganiana negli anni ’80. Brevemente, la curva mostra la relazione a “U” rovesciata tra l’aliquota di un’imposta e il suo gettito. Quando l’aliquota è nulla, il gettito è nullo.

Quando l’aliquota cresce, anche il gettito ovviamente cresce. Tuttavia, per livelli troppo elevati di tassazione il gettito comincerà a diminuire, fino al limite ad azzerarsi. Quando queste sono troppo alte, quindi, diminuire le imposte aumenterebbe il gettito fiscale.

Così dovrebbe funzionare anche per la libertà di informazione. Senza libertà di informazione, nessuno ha interesse a produrre notizie e contenuti editoriali; la facilità (ed economicità) con cui le notizie sono diffuse aumenta dunque anche la produzione di questi contenuti. A un certo punto, però, emerge il paradosso: se tutti i contenuti venissero diffusi gratuitamente, chiunque potrebbe usufruirne. E questo apparentemente è un bene. Ma se a causa di ciò la redditività di questo servizio diventa troppo bassa, nessuno sarà più disposto a produrlo. E senza contenuti, è evidente, sparisce la stessa libertà di informazione. 

Il governo australiano non ha quindi garantito una rendita di posizione agli editori, bensì proprio il contrario. La nuova legge garantisce un diritto universale e tutela, in primo luogo, proprio i lettori e gli elettori. Ai cortocircuiti tra economia e diritto del resto siamo abituati. Si prenda come ulteriore esempio il recente dibattito sulla protezione dei brevetti, o più in generale della proprietà intellettuale, applicata ai vaccini. 

La lotta al potere monopolistico è necessaria, ma espropriare la redditività di importanti investimenti può avere – se lo ha - un effetto positivo solo nel breve periodo, mentre nel medio e lungo periodo può distruggere aziende e, per effetto reputazionale, minare la propensione a nuove ricerche. 

È inutile nasconderlo: l’editoria della carta stampata non naviga di certo in acque serene.

La concorrenza di altri attori è troppo forte. Ed è troppo forte perché sleale. Ed è sleale perché quelle che online si spacciano proditoriamente come aziende dell’informazione sono in realtà aziende che si occupano solo di comunicazione. Aziende che mettono la forma in risalto sulla sostanza. 

E in un mondo dove velocità e brevità la fanno da padrone, la sfida per la carta stampata è ormai al limite dell’eroico. Un tweet e un post non informano e non veicolano alcun contenuto intrinseco. Peraltro, quando il contenuto c’è, è un contenuto sottratto ad altri. Rubato, verrebbe da dire. 

Anche i dibattiti televisivi hanno ormai perso il ruolo informativo di un tempo. Salvo rare eccezioni, sono diventati vetrine di vanità (nella migliore delle ipotesi) e di volgarità (nella peggiore). La gratuità è un’illusione. E dal 2014, finalmente, lo sancisce anche la Costituzione italiana. L’equilibrio di bilancio (articolo 81) va rispettato. I diritti costano e nulla è gratis.
Il diritto all’informazione non può essere garantito se chi produce informazione non viene retribuito. E se non è il lettore a pagare per il servizio, allora sarà qualcun altro a farlo: uno sponsor, magari. O un governo. Nessuna delle alternative garantisce appieno il diritto dei lettori a essere liberamente informati. Se non è il lettore a pagare per il servizio, non è il lettore ad essere il padrone di quel servizio, ma qualcun altro. 

Pure la Gran Bretagna sembra seguire le orme del governo australiano. Stranamente, più timida appare l’Unione Europea. Contro i colossi del web questa timidezza non ci stupisce, purtroppo. Basta ricordare le difficoltà ricorrenti nel dibattito sulla web tax o sulla capacità di fare pagare le giuste imposte alle multinazionali della rete. 

Un giro di vite dell’Unione, su tutti questi temi, avrebbe il merito non solo di migliorarne il bilancio - cosa non secondaria in questo periodo. Ma anche e soprattutto di rimetterla sul sentiero che ha prescelto decenni fa: quello di garantire una sempre maggiore libertà ai propri cittadini.
 

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