Giuseppe Vegas
​Giuseppe Vegas

Il nuovo Occidente/ Dove porta la sindrome della difesa degli oppressi

di ​Giuseppe Vegas
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Domenica 7 Aprile 2024, 00:08

Esattamente settant’anni fa Ennio Flaiano diede alle stampe un breve scritto dal titolo “Un marziano a Roma”. Era la storia di un abitante del lontano pianeta, che, atterrato con la sua astronave a Villa Borghese, veniva immediatamente fagocitato dall’annoiato mondo della Capitale e trasformato in simbolo destinato a soddisfare tutte le aspettative di una società effimera attratta dalla diversità. In brevissimo tempo, il marziano diviene una vera e propria star: tutti lo vogliono e tutti ne parlano. Ma altrettanto rapidamente delude le aspettative, non fa più notizia e non gli resta che ripartire. Il marziano non cambierà la vita dei romani e presto sarà dimenticato.
Molto probabilmente è la stessa sorte che toccherà alla “marzianite” che negli ultimi anni, quasi si trattasse di un meteorite precipitato da un mondo estraneo e lontano, si è abbattuta sulla testa, o meglio sull’intelletto, di quella parte del mondo che, più che altro per abitudine, chiamiamo ancora Occidente.

Oggi la sindrome in questione ha tutte le caratteristiche per essere considerata una nuova dottrina escatologica a cui legare le sorti della sopravvivenza del genere umano. Ma, per darle il credito che si proclama essa meriti, sarà opportuno considerare le sue probabilità di resistenza al logorio del tempo. Basti considerare alcune delle sue più recenti manifestazioni.

In Francia sta per essere approvata una legge che punisce il body shaming tricologico: vietatissimo criticare o anche solo descrivere la capigliatura altrui, o anche la sua mancanza. D’altronde, non si tratta che della logica conseguenza del divieto di commenti sulla massa corporea. L’Università di Trento ha deciso di trasporre al femminile tutti i termini che definiscono una collettività professionale. Il tutto mentre si dibatte dell’opportunità di sostituire la numerazione cardinale ai desueti termini di madre e padre. Quanto poi al rispetto della figura femminile e alla parità di trattamento, l’opinione pubblica si è orientata a ritenerlo un tema fondamentale, ma solo in alcuni territori. Risultandone palesemente esclusi ad esempio Iran e Afganistan, dove, nell’indifferenza del cosiddetto mondo civile, è stata ripristinata la poco edificante pratica della pubblica lapidazione delle adultere.

Intendiamoci, non è colpa delle anime belle che ambiscono a tutelare le minoranze oppresse. Il fatto è che le minoranze sono così numerose, che non si ha il tempo per poterle considerare tutte. In fondo qualche dimenticanza può capitare. E anche qualche incoerenza. Inconveniente che si verifica spesso allorché si trascurano i principi generali, per consentire eccezioni. Col tempo, aumentano di numero, gli esclusi protestano, pretendono di essere eccezionalizzati anche loro, e i principi generali finiscono nel dimenticatoio.

Procedere per eccezioni non significa unificare un tessuto sociale, ma incentivare ed esaltare un approccio, che, nei fatti, incrementa le differenze e quindi le discriminazioni. 

Nel mondo occidentale è andato prendendo corpo un meccanismo sostanzialmente antidemocratico. Se infatti il principio democratico è quello che garantisce l’ordinato svolgimento della vita civile di un popolo, grazie alla scelta di attribuire valore alle decisioni sostenute dalla parte prevalente della popolazione, privilegiare la volontà o i desideri di una o più minoranze, a danno della maggioranza, ne costituisce la negazione nei fatti. Non sono più i migliori, o coloro che hanno ottenuto un maggiore consenso, ad essere scelti, ma quanti appartengono ad uno specifico gruppo minoritario. 

In questo modo, le scelte pubbliche non possono che collocarsi ad un livello sub-ottimale. Così la società, anziché progredire, si avvia verso la decadenza: non sarà in grado di utilizzare, per se stessa in primo luogo, ma anche a vantaggio del resto dell’umanità, tutti gli strumenti a sua disposizione. Si configura, per tal via, un depauperamento complessivo, che altro non è se non un assetto sociale esattamente contrario alla “società aperta”, che a parole i nostri governanti dicono di voler perseguire. Una società chiusa e corporativa, infatti, porta, per sua natura, al benessere di alcuni, a danno di quello collettivo. Questa è anche una delle principali ragioni del graduale impoverimento a cui andiamo assistendo, almeno nella realtà europea.

Per fortuna qualche episodio apre alla speranza. Forse anche perché rappresenta la prima avvisaglia che il prossimo allontanamento del “marziano” sia imminente. È notizia recentissima quella del calo delle iscrizioni all’università di Harvard. Un campanello d’allarme che non va sottovalutato. Harvard forse non sarà la migliore università del mondo, ma è un simbolo. Un luogo dove si sono formate da sempre le élite mondiali, dove sono accolti gli studenti più bravi e da cui proviene quel pugno di uomini a cui spesso sono affidate le sorti politiche, economiche e culturali del nostro pianeta. Tuttavia, se combattere per arrivare in quell’università, studiare e competere con i propri simili per emergere risulta assolutamente inutile, perché poi si è discriminati rispetto ad altri che non posseggono le stesse qualità, allora tanto vale tirare i remi in barca e arrendersi. Ma la resa non è mai stata un’attitudine dell’animo umano. Un simile segnale non può essere ignorato.

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