Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Il sistema scolastico letto attraverso le classifiche

di Paolo Balduzzi
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Mercoledì 6 Dicembre 2023, 23:28 - Ultimo aggiornamento: 9 Dicembre, 00:25

Agli amanti delle classifiche non sarà certo sfuggita la presentazione dell’ultimo rapporto Pisa, la ricerca comparativa svolta periodicamente dall’Ocse per certificare le competenze degli studenti di 15 anni. I risultati sono spesso accompagnati da polemiche: quella di chi giudica gli studenti italiani (generalmente) poco preparati (e se la prende, a seconda dell’umore, coi giovani, coi docenti, o col Ministro di turno); quella di chi vede in questa valutazione il tentativo di imporre un pensiero unico di istruzione, tecnocratico e globalizzato; quella di chi, infine, non capisce affatto il senso di questa iniziativa, che avrebbe come unico effetto quello di polarizzare l’interesse di insegnanti e alunni sulla performance nel test e non sui contenuti dei curricula di insegnamento.

In effetti, sarebbe davvero riduttivo giudicare un alunno o una scuola in base ai risultati nelle prove; ma non così sbagliato è invece utilizzare questi dati per avere un’immagine del paese, per capire come utilizza le proprie risorse e, soprattutto, se ci sono spazi di miglioramento per il nostro sistema di istruzione. Più che i risultati sintetici, che di positivo hanno solo la praticità dei confronti, sono le scomposizioni degli indici che suscitano maggiore interesse. Perché le medie statistiche sono un po’ come gli atomi: per liberare energia, o informazioni utili, devono essere spaccate. E così facendo balzano all’occhio non tanto le performance quanto le differenze, evidenti secondo molteplici dimensioni.

Tra tipi di scuola, per cominciare: non sorprendentemente, a dire il vero, i licei registrano risultati migliori delle scuole professionali. Ma anche per genere: sconcertante scoprire come, tra tutti i paesi analizzati, la differenza di risultato tra uomini e donne sia per esempio quella massima in matematica, a favore dei primi, mentre quella in lettura presenti esattamente il risultato opposto. Infine, tra territori: in tutte le aree di analisi, matematica, lettura e scienze, le scuole del nord ottengono risultati migliori delle scuole del sud.

La domanda, spontanea, non può che essere: perché? Perché il sistema scolastico nazionale, con un curriculum sostanzialmente uniforme su tutto il territorio, con un meccanismo di formazione del corpo docente standardizzato, con un metodo d’insegnamento ormai consolidato, produce risultati così differenti? Forse proprio perché è il sistema d’istruzione stesso che non funziona e che troppo ancora dipende da circostanze fortuite, quali la motivazione di un professore, l’intraprendenza di un dirigente, o perfino il livello d’istruzione dei genitori di uno studente.

La nostra scuola sembra funzionare bene quando le condizioni sono favorevoli e meno bene quando non lo sono: esalta le eccellenze ma non recupera le difficoltà; soprattutto, non è in grado di gestire le differenze che, specie nei primi anni di scuola, caratterizzano gli alunni. Difficilmente basterà la burocrazia del definire i “livelli essenziali delle prestazioni”; più cruciale, al contrario, l’utilizzo del Piano nazionale di ripresa e resilienza per innovare le strutture e per formare i docenti. Ma la ricetta vincente è, come al solito, quella di guardare alle esperienze migliori e provare a copiarle.

E qui cominciano le sorprese. Perché spesso le migliori esperienze straniere sono ispirate a un metodo la cui origine è tutta italiana ma che, proprio dal nostro paese, per troppo tempo è stato dimenticato se non addirittura boicottato.

Si tratta del metodo Montessori, oggi riconosciuto in Italia solo per la scuola primaria e al momento in fase di sperimentazione per quanto riguarda la scuola secondaria di primo grado. Per contro, all’estero tale riconoscimento è addirittura arrivato alla scuola secondaria di secondo grado. In queste scuole non esistono libri di testo, perlomeno alle scuole elementari, e l’apprendimento si basa sull’osservazione e la manualità. I voti non ci sono, ma ci sono le valutazioni e, ancora più importanti, le autovalutazioni dei singoli alunni. Che vengono incentivati a scoprire, a imparare in modo autonomo, a sviluppare le proprie capacità e, su queste, a creare un’adeguata autostima.

Gli errori e le differenze, in questo contesto, non creano disagio: anzi, proprio il contrario. È dunque in questo senso che dovrebbero essere lette le classifiche internazionali: non per sapere come si comportano gli studenti italiani rispetto a quelli stranieri ma per migliorare a partire dalle debolezze del sistema scolastico. A volte, la risposta non è così lontana da noi.

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