Mario Benedetto
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L’analisi/ I danni sociali ed economici della violenza negli stadi

di Mario Benedetto
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Lunedì 8 Aprile 2024, 00:09
È diventata una questione di civiltà. Una soluzione alla violenza negli stadi, nello sport e nel calcio, in particolare, sembra ogni giorno meno rimandabile, stavolta dopo le vicende del derby tra Roma e Lazio che ha visto, ancora una volta, la Capitale triste teatro di violenze. Ai violenti diciamo ci “avete rotto il calcio”. Con violenze non solo gratuite, ma dannose e insopportabili. E non possiamo tollerarlo. È una lesione nei confronti dei diritti di tutti alla quale andrebbe messa la parola fine. Parliamo dei diritti dei cittadini, che possano vivere una città serena, in ogni giorno e in ogni suo angolo. Roma è una città sufficientemente afflitta da problemi storici e congiunturali per vedere turbata la sua quiete anche dalle conseguenze del “tifo” del fine settimana. Stesso discorso per il resto degli stadi d‘Italia. Che poi tifo non è, offrendo, in realtà, la rappresentazione di un insieme di manifestazioni triviali di violenza. Dunque, se ad aggravare la quiete delle nostre città si aggiungono anche le manifestazioni sportive, che dovrebbero essere simboli e occasioni di festa, tutto diventa ancor più insostenibile.
I diritti lesi sono quelli di tutti i cittadini, chiamati a sostenere i costi dei danni causati dai teppisti della domenica. Dal 2022 sono oltre 6mila i tifosi colpiti dai Daspo. Sinceramente, buttare soldi per queste “teste calde” rappresenta un altro fattore che rende la situazione intollerabile. Lesi anche i diritti delle famiglie, degli sportivi e dei tifosi veri, che aspettano questi momenti di svago per coltivare una passione, per sostenere una fede sportiva, e invece, se tutto va bene, arrivano nei pressi di stadi blindati sempre più simili ad arene dei gladiatori che a luoghi di sport e divertimento.
Per non parlare dei diritti delle Forze dell’ordine. È il loro lavoro, si dice, ma sinceramente di insostenibile c’è anche il solito bollettino di “guerra” che arriva il fine settimana dagli stadi d’Italia, con agenti aggrediti e feriti. Quando di guerre, purtroppo, ne abbiamo già sin troppo piene le cronache. Allora non è concepibile e perdonabile danneggiare la quiete delle nostre città, dando la possibilità ad abitanti e turisti di viverle serenamente, specie nei fine settimana, per lasciare spazio a questi scontri tribali che con le parole “sport”, “calcio” e tantomeno “fede” hanno davvero pochissimo a che fare.
Si sta rompendo un ingranaggio che è insieme sociale, sportivo ed economico. Quest’ultimo fattore rende il mondo dello sport e del calcio, insieme alle grandi e per noi importanti passioni che è capace di suscitare, non solo bel terreno di ideali e valori, ma anche letteralmente un “mercato” da proteggere e tutelare per il potenziale che rappresenta e sprigiona. Ci sono però dei limiti da far rispettare nelle manifestazioni che animano questo mondo per non permettere che arrivino a danneggiarlo come terreno di gioco, come terreno di ideali e proprio come mercato.
Metteremmo a rischio un fattore di coesione sociale. Dunque tutti gli attori sociali ed economici coinvolti dovrebbero avere la lungimiranza e tutto l’interesse di sostenere e massimizzare l’impegno di un Governo che sulla sicurezza ha dimostrato di spendersi per portare a casa, finalmente, un risultato storico e determinate per tutti nella lotta alla violenza negli stadi. Che sarebbe un bel colpo inferto alla violenza “latu sensu”: difendere un luogo di sport e di cultura significa tutelare economicamente un mercato e raggiungere, socialmente, una vera conquista di civiltà.
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