Ruben Razzante
​Ruben Razzante

Il ruolo del web/ Quella legge sulla par condicio ormai superata

di ​Ruben Razzante
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Martedì 9 Aprile 2024, 00:05
Gli aspri confronti delle ultime settimane confermano ancora una volta quanto sia scivoloso il terreno dell’applicazione alla propaganda elettorale del principio della par condicio, che chiama in causa il delicato equilibrio tra la libertà di manifestazione del pensiero e il principio di uguaglianza. Da una parte, contingentare gli spazi di visibilità degli attori politici può tradursi in una menomazione della libertà d’espressione; dall’altra, astenersi dal disciplinarli può produrre discriminazioni nell’accesso ai mezzi d’informazione.
Sono tante le variabili che finiscono per incidere sulla dialettica tra produzione di messaggi elettorali e parità di trattamento mediatico di tutti gli attori in campo poiché la legge elettorale, le singole voci da amplificare nei vari partiti e nei diversi schieramenti e il mix di mezzi d’informazione tradizionali e nuovi media possono determinare comunque alterazioni del quotidiano dispiegarsi della propaganda. A rendere ancora più impervia la disciplina della materia vi sono le cicliche interferenze tra la propaganda e la comunicazione istituzionale, vale a dire la narrazione che chi governa è tenuto ad assicurare ai cittadini in relazione alle scelte compiute quotidianamente per realizzare il suo programma.
Con l’approssimarsi dell’appuntamento dell’8 e 9 giugno (elezioni europee e amministrative) tornano a svettare nitidamente sul panorama politico nazionale l’anacronismo e l’inadeguatezza dell’attuale regolamentazione in materia di par condicio, che il Parlamento non riesce a superare con una matura iniziativa riformatrice in grado di adeguare la cornice normativa alle nuove e ormai consolidate modalità di comunicazione politica tipiche della galassia digitale.
Quando fu varata, nel febbraio 2000, i mezzi radiotelevisivi erano dominanti nelle diete mediatiche degli italiani e nel processo di formazione delle opinioni e dunque la legge sulla par condicio rispose ad un’esigenza imprescindibile per il regolare dispiegarsi della dialettica pre-elettorale, quella di assicurare l’effettiva parità d’accesso di tutti gli attori politici ai principali circuiti mediatici. Fu la Corte Costituzionale a chiarire la natura di quella normativa, qualificabile come intervento di uguaglianza sostanziale ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione, che sollecita la premura operativa della politica nel riequilibrare le disparità che si creano nella società e, in questo caso, nell’accesso ai mezzi d’informazione.
Da allora il panorama è profondamente cambiato e oggi l’affannosa ricerca di consensi da parte dei leader politici passa sempre di più attraverso la Rete, che però non rientra negli ambiti applicativi di quella normativa e dunque appare priva di vincoli, al di là di sterili richiami formali da parte delle pubbliche autorità.
Emerge sempre più chiaramente la necessità di considerare anche il ruolo dei canali web e dei social media, che incidono in maniera decisiva sulla formazione dell’opinione pubblica. L’inapplicabilità della par condicio al contesto digitale rimane dunque il “tallone d’Achille” dell’attuale quadro normativo. La messa in sicurezza della propaganda elettorale e degli equilibri democratici connessi alla manifestazione delle opinioni politiche in vista degli appuntamenti con le urne passa necessariamente attraverso l’emanazione di una nuova legge in materia che registri un dato di realtà inconfutabile: un tweet con milioni di follower può valere, in termini di voti, molto di più di un passaggio televisivo anche in prima serata.
Accettare che le scelte di voto siano riconducibili a un sistema di regole applicabili solo ai mezzi radiotelevisivi significa mettere in conto distorsioni e manipolazioni nella rappresentazione delle idee e nella formazione del consenso, tanto più che le informazioni che viaggiano in Rete, e dunque anche i suggerimenti elettorali, non rispondono a requisiti di equità e notiziabilità ma sono appese alle bizzarrie degli algoritmi, ispirati a criteri commerciali ed economici del tutto imperscrutabili.
Ciò non toglie che, nelle more di una riforma della par condicio che copra l’intero spettro multimediale, non si debba nel frattempo tentare di affinare la sua attuale applicazione al contesto radiotelevisivo, anche attraverso un’accurata ponderazione tra criteri qualitativi (ascolti) e criteri quantitativi (minuti di visibilità), come opportunamente sta tentando di fare l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom).
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