Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Oltre le proteste/Chi pagherà il conto salato delle politiche sul clima

di Paolo Balduzzi
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Martedì 24 Gennaio 2023, 00:00

Si è concluso da pochi giorni il World economic forum di Davos. Edizione forse un po’ sottotono e che ha conquistato poche pagine sui giornali. Con due notabili eccezioni. La prima è stata l’intervento di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (Bce). È infatti naturale che istituzioni, investitori e cittadini europei attendano con trepidazione ogni sua parola e indicazione, sospesi come sono (e siamo) tra la paura di dover affrontare prezzi esorbitanti o, al contrario, tassi d’interesse elevati o ancora, nella peggiore delle ipotesi, entrambi. L’altra eccezione che ha catturato l’interesse dell’opinione pubblica ha riguardato invece fatti che si sono svolti all’esterno dei palazzi della riunione. 

I protagonisti sono stati Greta Thunberg, la giovane attivista svedese per il clima, e “Fridays for future”, il movimento a lei ispirato composto per lo più da giovani e studenti. Si è quindi tornati a parlare di cambiamenti climatici, di riscaldamento globale, di biodiversità e di migrazioni. Di equilibri geopolitici mondiali, in sintesi, che coinvolgeranno le attuali giovani generazioni e quelle di domani in un futuro nemmeno troppo lontano. 
Qual è l’approccio degli adulti o delle istituzioni? E perché fa arrabbiare questi attivisti? La ragione più immediata, che caratterizza gran parte dei cori infreddoliti dei ragazzi e dei motti sui loro piccoli ma colorati cartelloni, è che l’attuale classe dirigente, politici e industriali, è la principale colpevole della crisi climatica ed è quindi inutile fidarsi della loro volontà di risolvere il problema. 

Eppure, a noi che a questa colpevole generazione apparteniamo, non sembra davvero che così poco sia stato fatto, soprattutto nell’Unione Europea e soprattutto negli ultimi anni. Quello che ci manca è però la reale consapevolezza del problema e della sua gravità. Esemplare, da questo punto di vista, la recente gaffe del presidente della repubblica francese durante il suo discorso di Capodanno. Emmanuele Macron, infatti, commentando l’ondata di caldo del 2022 e i suoi effetti sulla Francia, si è pubblicamente (e testualmente) chiesto chi avrebbe potuto prevedere l’attuale crisi climatica. Come se, appunto, le proteste ambientaliste degli ultimi trent’anni o il premio Nobel per la Pace ad Al Gore e Ipcc (Gruppo intergovernativo per il cambiamento climatico, Onu) nel 2007 non fossero mai avvenuti. 

Meno clamorosa, ma comunque indicativa di un atteggiamento poco equo, è l’Unione Europea. Qualcuno strabuzzerà gli occhi: proprio l’Ue, con le sue politiche per il clima, i protocolli firmati, il Green new deal, e così via? Già, proprio l’Unione Europea.

Che nel suo impeto ambientalista, forse guidato da senso di colpa o forse guidato da megalomania, sembra voler imporre a tutti la sostituzione di automobili ancora perfettamente funzionanti con altre dalla dubbia resa, ma molto costose; oppure, la ristrutturazione in chiave di risparmio energetico di tutti gli immobili sul territorio continentale. 

Come se chiunque avesse 50.000 euro per acquistare un’automobile elettrica o molti di più per cambiare la classe energetica della propria abitazione. Come se questo non avesse effetti devastanti, come il superbonus ci sta insegnando, sulla disponibilità delle materie prime e sul livello dei prezzi. Come se questo non mettesse in ginocchio le generazioni che ancora devono costruirsi un futuro, appunto, costringendoli a ripagare debiti per tutta la vita.

A volte viene da pensare che alcune chiacchiere al bar non siano poi così sbagliate: che, cioè, la percezione della realtà di chi fa politica ad alti livelli sia pari a quella di chi vive su un altro pianeta, dove pagare le bollette a fine mese non è mai motivo di preoccupazione o dove l’accesso alle scuole migliori, dalla propria città all’Ivy League, non incide sul vincolo di bilancio familiare. Dove, e qui si viene al punto, cambiare automobile a ogni nuova tecnologia disponibile o acquistare una casa di classe energetica elevata ha lo tesso valore del cambiare uno spazzolino da denti ogni tre mesi. 

Perché l’impressione che hanno i giovani attivisti è probabilmente questa: che, benché le cause del cambiamento climatico risiedano nel presente e soprattutto nel passato, tanto gli effetti quanto i costi per affrontare il problema ricadano invece esclusivamente sulle generazioni più giovani. 
Sia chiaro: il passaggio a uno stile di vita e di consumo sostenibile è sacrosanto. Nel merito, non sono nemmeno delle cattive proposte quelle dell’Unione Europea, anzi. Ma è sorprendente che nessuno abbia pensato alle conseguenze redistributive intergenerazionali di queste politiche. 

Questa fretta è, ancora una volta, conseguenza di un immobilismo passato. Che però, hanno ragione i ragazzi, non fa che screditare l’attuale classe dirigente, evidentemente impreparata, che si sta occupando del problema. Così come scredita invece la causa ambientalista, è il caso di ammetterlo, chi si mette a imbrattare quadri e monumenti, forse più in cerca di visibilità personale sui social che in cerca di soluzioni concrete per l’ambiente. 
Tra questi estremi, resta, per ora irrisolto, l’impegno più gravoso: che giovani e politici trovino la sintesi necessaria a garantire un futuro sostenibile al pianeta. 

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