Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Scelte responsabili/ Il sostegno al governo e l’interesse del Paese

di Paolo Balduzzi
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Sabato 15 Ottobre 2022, 00:46

La doccia fredda arriva a metà pomeriggio di qualche giorno fa: il Fondo monetario internazionale (Fmi), aggiornando le stime di crescita per i paesi mondiali, scrive il temuto segno meno davanti alla cifra del nostro paese. Sarà quindi recessione, secondo i tecnici di Washington. Doccia fredda non solo perché la prospettiva non è certo delle più rosee ma anche perché, solo un paio di settimane fa, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), presentata dal governo Draghi, aggiustava sì al ribasso le stime di crescita per il 2023, ma senza prevedere alcuna recessione. Troppo ottimista il governo italiano? Troppo catastrofista il Fondo monetario? La verità, come speso accade, sta nel mezzo. E in una lettura critica dei numeri che ci vengono giornalmente offerti da politici, analisti, economisti. 

La verità, dunque: dal punto di vista pratico, non c’è una differenza enorme tra crescere di pochi decimi percentuali o essere in recessione dello 0,2%. Il messaggio è molto simile: e cioè che il paese non sta crescendo ed è sostanzialmente fermo. Tanto per gli ottimisti quanto per i pessimisti. Tuttavia, sono le conseguenze comportamentali delle stime che sono rilevanti. Innanzitutto, quelle degli operatori economici: che effetto avranno queste notizie sugli imprenditori, nella loro scelta per esempio di assumere o meno nuovo personale, o di investire in nuovi macchinari? Che effetto avranno poi sulle scelte di consumo dei cittadini? Difficile dirlo. E comunque le risposte a queste domande vanno ben al di là delle finalità di questa riflessione. Che invece si interessa maggiormente di quali effetti le cifre sulla crescita, o meno, nell’anno venturo avranno sulle azioni della nuova maggioranza e, di conseguenza, su quelle del nuovo governo. 

Il peggioramento delle previsioni del Fondo monetario, sia rispetto alla Nadef sia rispetto alle previsioni dello stesso Fmi del luglio scorso, può portare a due atteggiamenti ben diversi. Il primo è quello arrendevole: di fronte a un peggioramento del quadro macroeconomico e a una stima di recessione, cioè di riduzione del reddito nazionale, la reazione potrebbe essere quella di tirare i remi in barca. Del resto, entrando il governo in carica solo nelle prossime settimane, non si potrà cerco ascrivere a esso una cattiva performance dell’economia per il 2023. L’economia andrà male a causa dell’inflazione, a causa della guerra, a causa dei ritardi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Insomma, il governo potrebbe essere più impegnato a cercare una lista di giustificazioni, lavandosene le mani, invece che possibili soluzioni. Al contrario, ed è ovviamente questo ciò che ci auguriamo, il nuovo governo potrebbe prendere queste stime come stimolo e dimostrare di avere a cuore il destino del paese facendo di tutto non solo per smentire il Fondo monetario ma anche per smentire lo stesso governo Draghi. Siamo sinceri: nonostante lo scenario economico e politico internazionale, accontentarsi di una crescita dello 0,5 o dello 0,6% significa mantenere ambizioni davvero modeste.

Perché se è vero che le prospettive per la Germania (-0,3%) sono addirittura meno rosee di quelle per il nostro Paese, lo stesso non può dirsi per quelle di altre nazioni, come per esempio il Regno unito (0,3%, in miglioramento rispetto alle previsioni di luglio), la Francia (0,7%), o la Spagna (1,2%). Con il caso paradossale della Cina: crescerà allo stesso ritmo dell’Italia nel 2022 (3,2%) ma nel 2023, invece di rallentare, crescerà ancora di più: una direzione diametralmente opposta a quella italiana. 

Questi numeri significano quindi che il destino economico del nostro Paese non è già scritto. Continueranno a crescere nazioni a noi molto vicine, come Francia e Spagna, che stanno subendo gli stessi shock energetici e diplomatici. E non dovrebbe essere l’ambizione di ogni nuovo governo quella di migliorare la qualità di vita dei suoi cittadini? La scelta di chi guiderà il ministero dell’economia è dunque giustamente cruciale. La ricerca di figure che siano le migliori possibili non indebolisce la maggioranza, anzi: ne aumenta la reputazione. Almeno sulla carta. Giudicheremo poi dai fatti la bontà del nuovo governo. Ma i momenti come questo servono anche a giudicare l’opposizione. Augurarsi che le cose vadano male, che il governo si frantumi tra pochi mesi e che venga sostituito dall’ennesimo governo di emergenza nazionale non fa bene al paese. E chi lo sostiene, o lo spera, si preoccupa solo di perseguire proprie rendite politiche. Il nuovo governo avrà sicuramente la responsabilità di scelte difficili; ci si augura che abbia anche la forza e il coraggio di scelte magari impopolari ma necessarie. Per esempio, quella di resistere alla tentazione del debito per spese elettorali; o quella di non temerlo, al contrario, per finanziare nuovi investimenti; ancora, quella di mantenere la barra dritta e l’attenzione elevata sulla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Perché è vero che tutto è migliorabile: ma tutti sappiamo che cambiare una virgola in questo Paese significa condannarsi a ritardi e rallentamenti.

Anche la questione fiscale è dirimente; il centrodestra ci ha vinto le elezioni: ma un conto è dare sollievo a imprenditori ed elettori, un altro è stravolgere i conti pubblici e la progressività dell’Irpef con esperimenti destinati al fallimento. Il governo sarà infine tentato, già nelle prossime settimane, di mettere mano alle pensioni. Se la maggioranza sarà in grado di uscire dal clima di campagna elettorale che caratterizza l’entusiasmo di una vittoria nelle urne, se accetterà la sfida di non accontentarsi ma di migliorare le modeste previsioni di crescita per il nostro Paese, allora avrà già vinto la prima delle sue scommesse.

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