Bruno Tucci*

L'intervento/ I giornalisti e quelle regole anacronistiche

L'intervento/ I giornalisti e quelle regole anacronistiche
di Bruno Tucci*
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Giovedì 11 Aprile 2024, 00:35

L' onorevole Maria Elena Boschi, già ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio (con i governi guidati da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) fa una proposta che piacerà a tutti i politici di qualsiasi colore essi siano: “I giornalisti non dovrebbero partecipare ai talk mostra che si tengono in tv”. Ottima iniziativa che avrà certamente il plauso degli inquilini di Montecitorio e di Palazzo Madama. In tal modo, essi sarebbero liberi di parlare senza il timore di essere contraddetti in diretta. Io dico una cosa, tu ne dici un'altra, portando l'acqua al nostro mulino in maniera pacata tanto da meritare il plauso unanime degli spettatori.

È più che una speranza per i parlamentari: pensate che bello sarebbe (per loro) non subire critiche da parte di chi ha il dovere di fare il cane da guardia, che è il compito dei giornalisti. E' un desiderio vecchio, come quello di abolire l'Ordine professionale, un organismo anacronistico con i tempi che corrono.

È giusto. Ma a chi spetta cambiare una legge datata 1963? Da allora molte cose sono cambiate, la professione ha un orizzonte diverso. D'accordo, ed allora perché non prendere una iniziativa concreta che porti ad una vera e propria riforma?

La verità è che l'obbiettivo di molti politici sembra essere un altro: cancellare l'Ordine in modo da poter fare il bello e il cattivo tempo. Ad esempio, arruolare nel giornalismo persone che non hanno nessuna dimestichezza con l'informazione, ma che ubbidiscano senza discutere alle proposte dei loro referenti. Così, tutte le regole di oggi verrebbero abolite: il praticantato obbligatorio (cioè il giusto tirocinio), un esame di idoneità dopo diciotto mesi per verificare se il giovane sia maturo e adatto per fare informazione. In più, nessuno sbarramento per chi vuole diventare pubblicista. Ora, la legge pubblicazione che il pubblicista, appunto, presenta un certo numero di articoli firmati e riconosciuti dal direttore della testata per cui scrive. Si era instaurato qualche anno fa anche un ulteriore colloquio con il candidato per controllare il suo stato di cultura. Idea che venne abbandonata perché le raccomandazioni sarebbero finite tutte in un cassetto. Ecco allora perché il suggerimento di Maria Elena Boschi troverebbe ampio consenso nei Palazzi. Ora, è nostro compito fare le pulci all'amata professione. Da quando è iniziata e triplicata l'era dei talk show, c'è la corsa ad accappararsi un posto come conduttore di un programma. La televisione rende famosi, soltanto pochi minuti di apparizione nel piccolo schermo vogliono dire notorietà. Racconto un brevissimo episodio personale. Facevo già il giornalista e l'inviato da almeno vent'anni nel giornale più diffuso della Capitale, Il Messaggero; ebbene fui obbligatorio dalla direzione a seguire (con articoli cosiddetti di contorno) un campionato del mondo di calcio in Messico. Mi invitarono ad una trasmissione che allora andava per la maggiore e comparvi in ​​tv non più di due minuti. Poi quell'estate passai le vacanze come sempre al mio paese in provincia di Cosenza e molti fermandomi, mi chiese ro: “Abbiamo visto che voi fate il giornalista”. Potenza del piccolo schermo!

È umano quindi concorrere per ottenere un posto come conduttore di un talk show politico. Ed è qui che tutti noi giornalisti dovremmo recitare il mea culpa. Conduttore non vuol significare essere un protagonista, ma un moderatore che abbia l'accortezza di far parlare ugualmente i partecipanti. Invece (accetto smentite) avviene l'esatto contrario: il giornalista diventa il vero protagonista del programma e spesso e volentieri dimentica il principio sacrosanto della terzietà: quello di essere imparziali e non prendere iniziative che possono far pendere la bilancia da una o dall'altra parte.

*Ex presidente dell'Ordine giornalisti del Lazio

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