Ferdinando Adornato
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La rotta del governo/ Le due riforme che possono cambiare il Paese

di Ferdinando Adornato
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Lunedì 23 Gennaio 2023, 00:19

Non so se in politica esista un quadro astrale, ma è certo che nel cielo di Giorgia Meloni si stanno allineando tre pianeti che potrebbero consentirle di lasciare un segno decisivo nella storia del Paese. Il primo riguarda la natura stessa della sua leadership. E’ stato già osservato come il suo governo sia il primo deciso dalle urne, dopo tanti anni. Ma c’è anche qualcosa di più. Se scorriamo la storia degli ultimi trent’anni, dal 1993 ad oggi, ci accorgiamo che soltanto per sette di questi l’Italia ha avuto premier espressi direttamente dalla politica. Prima D’Alema e Amato, poi Letta, Renzi e Gentiloni. 

Per i restanti ventitrè anni, invece, da Ciampi a Berlusconi, passando per Dini e Prodi e arrivando a Conte, Monti e Draghi, a Palazzo Chigi sono arrivati sempre outsider extrapolitici. Un imprenditore che ha “inventato” un partito, oppure tecnici e manager “prestati” da grandi istituzioni bancarie e universitarie. Al di là dell’efficacia dei loro governi (alcuni hanno dato prova di vera eccellenza) non c’è dubbio che, dalla fine della Prima Repubblica, l’Italia abbia vissuto dentro una grande anomalia. Di fatto la politica non è stata più in grado di produrre premiership riconosciute e autorevoli. 

Si può invertire questa rotta e tornare alla “normalità”? E’ sicuramente molto difficile: i partiti sono quasi tutti in crisi, i meccanismi della rappresentanza farraginosi e la formazione culturale ormai quasi inesistente. Ma la Meloni, grazie alla novità che rappresenta, ha un’occasione storica: se la sua esperienza di premier di partito avesse successo, romperebbe l’“incantesimo italiano”, e riabiliterebbe la politica. Inoltre, per questa via, stimolerebbe probabilmente l’opposizione ad una concorrenza virtuosa che finora fatica ad emergere. 
Il suo successo dipende, però, in grande misura, da altri due pianeti che si stanno allineando sui destini del Paese: la riforma dell’assetto dello Stato e quella della giustizia. Diciamo la verità: la Seconda Repubblica è stata solo una fiction giornalistica, essa non è mai nata davvero. Nessun nuovo sistema è stato costruito. Per riuscirci bisogna avere la pazienza di tornare sul luogo del delitto, alla storia tormentata di quei primi anni Novanta. Allora fummo quasi tutti vittime dell’illusione referendaria, l’idea che, per cambiare le cose, bastasse una riforma della legge elettorale. Non era così. 

Nulla è cambiato e nulla cambierà se non si modifica nel profondo il circuito cittadino-potere-decisione. Ebbene l’esperienza storica suggerisce due modelli istituzionali adatti ad aprire davvero una Seconda Repubblica.

Il primo è quello francese, il semipresidenzialismo. Il secondo è italiano: quello usato per l’elezione dei sindaci. In entrambi i casi, l’esecutivo acquista immediatamente forza e stabilità attraverso il suffragio popolare. Non è mai il “leader forte” a minacciare le democrazie. Semmai, la storia l’ha insegnato, è proprio la somma delle debolezze di politica e istituzioni a farle entrare in crisi. 

Su questo tema troppi sono ormai i fallimenti che pesano sulla nostra recente storia per farsi illusioni. C’è però da dire che, stavolta, il dialogo in corso tra governo e Terzo Polo apre uno spiraglio di speranza sull’iter di questa necessaria svolta storica. Ma, negli anni Novanta, è emersa anche una seconda anomalia: lo squilibrio tra potere legislativo e potere giudiziario, ormai diventato una sorta di “guerra dei trent’anni” nella quale sono caduti diversi governi, senza che mai si riuscisse a siglare alcuna pace. L’ottima scelta come ministro di un magistrato indipendente come Carlo Nordio può, forse, finalmente consentire di provarci: elimina infatti l’alibi di una presunta vendetta della politica sulla magistratura che, fin qui, è servito a compattare le toghe più giacobine. Non a caso egli è subito diventato il bersaglio della parte più estremista delle opposizioni. 
La posta in gioco, del resto, al di là del tema “caldo” delle intercettazioni, è quella di disegnare una riforma complessiva che produca un nuovo equilibrio tra i poteri della Repubblica. Non c’è bisogno di scomodare Menenio Agrippa per capire che, senza una nuova vera “pax giudiziaria” il nostro sistema non rientrerà mai negli standard di una democrazia liberale. Perciò quei magistrati che ancora si sentono chiamati ad un’opera “purificatrice” devono, con umiltà, saper ripensare il proprio ruolo. 

Riabilitazione della politica, nuovo assetto dello Stato e riforma della giustizia: ecco i tre pianeti allineati nel cielo di Giorgia Meloni. Se poi le riuscisse di affrontare con successo anche la promessa riforma del fisco, altro nodo storico degli ultimi trent’anni, a quel punto la Seconda Repubblica sarebbe nata davvero. Si tratta certo di compiti gravosi, da far tremare le vene dei polsi. E il percorso sarà disseminato di trappole, non tutte e non solo dall’opposizione. Ma sembra che, per fortuna, Giorgia Meloni ne sia consapevole. Comunque, per questa cruna dell’ago deve passare se vuole davvero cambiare il Paese.

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