Ferdinando Adornato
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Passi falsi dem/Le ragioni della sconfitta e l’interesse del Paese

Passi falsi dem/Le ragioni della sconfitta e l’interesse del Paese
di Ferdinando Adornato
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Mercoledì 19 Ottobre 2022, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 20 Ottobre, 01:19

Enrico Letta è certamente una persona intelligente, raramente affetto da quella miopia strategica o da quell’improvvisazione dilettantesca che troppo spesso contagiano cospicui settori della nostra classe politica. Eppure lo psicodramma in cui è piombata la sinistra italiana dopo il voto del 25 settembre è in gran parte dovuto ad alcuni suoi evidenti errori che gli converrebbe riconoscere se vuole che il suo mondo si prepari davvero alla riscossa ) e non si condanni, come finora pare, ad un’opposizione furiosa ma sterile, motivata solo dalla demonizzazione di chi ha vinto.


Il primo errore risale alla decisione sulle alleanze della campagna elettorale. Non c’è infatti dubbio che, una volta fallita la proposta del campo largo, tra la “doppia coppia”, Calenda-Renzi e Fratoianni-Bonelli, il segretario del Pd avrebbe dovuto risolutamente scegliere la prima. Intendiamoci, le elezioni le avrebbe perse in ogni caso: ma almeno avrebbe disegnato con chiarezza il percorso di un progetto riformista di governo, significativo per la politica del futuro (al di là delle prevedibili baruffe tra il leader di Azione e quello di Italia Viva). Un progetto che oggi illuminerebbe di luce più cristallina l’opposizione, evitando la forte tentazione di consegnarsi di nuovo all’abbraccio mortale con i 5Stelle. 


Figlia di questo errore di prospettiva è stata poi la decisione di “dimettersi senza dimettersi” con il nobile intento di rendere “più ordinata” la transizione ma che, nei fatti, ha sortito l’effetto opposto. Le divisioni nel Pd si sono fatte ancora più marcate e le varie correnti, con le loro contrapposte opzioni, lacerano un tessuto politico già seriamente provato. Tanto che più d’uno (lo stesso Letta?) già si chiede se non sarebbe meglio riconfermare in qualche modo la sua leadership.


Tuttavia l’errore più grave, non solo per la sinistra ma per tutto il Paese, è arrivato dopo il voto. In una situazione tanto drammatica per il mondo e così preoccupante per l’economia italiana, l’Italia avrebbe bisogno certamente di un governo forte e determinato, ma anche di un’opposizione dura, se occorre, ma comunque responsabile. In altre parole avrebbe bisogno che governo e opposizione, pur senza alcuna confusione di ruoli, non smarrissero quello spirito di unità nazionale che ha contraddistinto l’era Draghi, e che si rivela indispensabile per navigare nelle tempeste che si annunciano.

Viceversa la sinistra, con Letta capofila, ha scelto la strada opposta: quella della trita denuncia della “destra pericolosa” con tanto di armamentario propagandistico antifascista rianimato per l’occasione.

Il che ha significato, anche per il pur pragmatico Letta, una sola cosa: rifugiarsi nell’ideologia e rinunciare a fare politica. Si pensi, ad esempio, quanto sarebbe diverso oggi il clima del Paese se il segretario del Pd, proprio appellandosi allo spirito di unità nazionale, avesse chiesto alla maggioranza la presidenza di una delle due Camere. Certo, avrebbe dovuto fare una storica e ufficiale ammenda per non aver ragionato così nel passato a parti invertite. Ma avrebbe inaugurato la legislatura con una spiazzante mossa “bipartisan”. Forse gli sarebbe stato risposto di no (anche se pare che la Meloni non fosse contraria) ma in ogni caso avrebbe messo in difficoltà il centrodestra, probabilmente evitando anche i cosiddetti “tradimenti” dei suoi sull’elezione di La Russa. Niente da fare: forse la politica non è più una scienza e in ogni caso non è più una scienza frequentata dai politici. Ci si é così incamminati lungo la strada della “delegittimazione preventiva” delle più alte cariche dello Stato, addirittura definendole “incendiarie”, allegramente dimenticando le tante presidenze clamorosamente di parte favorite dalla sinistra nelle trascorse legislature. 


La cronaca di questi giorni sulle scelte dei vicepresidenti e degli uffici di presidenza sembra confermare la confusione in atto nel Pd, sempre più solleticato, come detto, da un ritorno di fiamma verso il movimento di Giuseppe Conte. Letta non può non sapere che si tratta di un bivio decisivo per il futuro del suo partito. Da una parte la via riformista: ma essa può essere praticata solo attraverso un’opposizione non pregiudiziale. Dall’altra la strada del populismo “arrabbiato”: che però allontanerà sempre più la sinistra da una moderna cultura di governo. 
E’ ancora in tempo il Pd per rivedere la postura della sua opposizione? Certamente per farlo, Letta dovrebbe discutere seriamente sulle cause della sconfitta riconoscendo gli errori fin qui compiuti. Ma c’è da registrare che finora, a quasi un mese dal voto, nessuna seria riflessione è stata avviata. E, forse tutto sommato è già tardi. Come si dice, il buongiorno si vede dal mattino: e il mattino dell’opposizione si è presentato colmo di nubi minacciose. Eppure chi ha davvero a cuore il futuro dell’Italia non può che coltivare ancora la speranza. Perché la “polarizzazione antagonista” tra il centrodestra e una sinistra che scegliesse le barricate non è certo un presagio positivo per un Paese in così gravi difficoltà.

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