Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Le mosse dei leader/ La scommessa rischiosa per la sorte del Paese

di Paolo Balduzzi
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Sabato 19 Febbraio 2022, 00:27

Assumersi un rischio è spesso sintomo di grande forza, autostima, ambizione e volontà di superare i propri limiti. È così nel mondo dell’impresa, dove proprio i più grandi innovatori fanno fatica a trovare investitori che credono in loro e dove un errore può costare la perdita del proprio intero patrimonio; è così anche nell’alpinismo, dove percorrere una nuova via significa mettere in conto di poter non ritornare indietro; e il pensiero va a Walter Bonatti che, 57 anni fa, proprio in questi giorni, saliva da solo, per primo e in invernale la parete nord del Cervino. È vero anche nello sport: la medaglia d’argento di Sofia Goggia è solo l’ultimo esempio di tanti atleti che hanno deciso di giocarsi gambe e carriera ma sono stati ricompensati da una vittoria.
La politica è cosa diversa. In politica, assumersi un rischio significa, quando va bene, vincere elezioni, ottenere una nomina, conquistare potere e rendite di posizione. Ma quando va male, spesso a rimetterci non è solo chi si è assunto il rischio, bensì l’intero paese. È questa la sensazione che si ha osservando la cronaca politica di questi giorni. Sul cosiddetto “decreto milleproroghe”, il Governo è stato battuto ben quattro volte in commissione Bilancio alla Camera dei deputati. Ora, se da un lato è giusto rimarcare la centralità del Parlamento e la necessità che quest’organo non sia succube dell’azione governativa, (dall’altro è indubbio che in una coalizione di governo gli equilibri si reggono su patti che devono essere rispettati da tutte le parti in gioco. Ed è altrettanto indubbio che un evento come questo nasconda obiettivi ben più radicali di quelli contenuti nelle singole norme su cui l’esecutivo è stato sconfitto. 

Lo si capisce dalla reazione decisamente piccata del Presidente del Consiglio, che, non a caso, ha deciso di esternare la sua contrarietà con toni molto decisi e di parlarne col capo dello Stato. Come a minacciare dimissioni istantanee in caso di nuovi problemi. Qual è dunque la scommessa che alcuni partiti stanno tentando? Quali gli obiettivi a cui mirano? Se ne riconoscono almeno due. Il primo, in ordine di importanza, è quello di vincere le prossime elezioni politiche. Il secondo, strumentale al primo ma più vicino cronologicamente, è la presentazione del Documento di economia e finanza (Def) a fine aprile, e con esso, la possibilità di approvare uno scostamento di bilancio su cui i partiti hanno già messo gli occhi, ognuno per soddisfare il proprio elettorato di riferimento.

Il problema è che tra oggi e le prossime elezioni ci sono le scadenze del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Si tratta, per la precisione, di realizzare 47 tra obiettivi intermedi e riforme entro il 30/06 e altri 55 entro la fine dell’anno. Un risultato ancora più ambizioso di quello del 2021 (51 obiettivi realizzati nel 2021), che non ha un mero valore burocratico o statistico ma che costituisce il requisito necessario per ottenere le rate dei finanziamenti europei. Sempre per la precisione: 21 miliardi di euro a fine giugno e altri 19 a fine anno. Il problema è che, con tutte queste distrazioni, è alquanto facile perdere di vista l’obiettivo generale di interesse del Paese. 

Rendere la vita difficile al governo, minacciarlo o inviare avvertimenti tramite voti contrari, significa rallentarne l’opera di programmazione e di esecuzione proprio del Pnrr. Le sue risorse, infatti, non sono solo utili perché permettono di realizzare gli investimenti in esso contenuti (ma già questo sarebbe comunque una ragione sufficiente): sono utili perché, realizzando questi investimenti, il nostro paese potrà recuperare una doppia reputazione che ha visto perdere negli anni. Quella politica, che gli servirà per negoziare con maggiore forza le nuove regole del Patto di stabilità e crescita con i partner europei; e quella economica, che lo aiuterà a convincere le imprese italiane a restare in Italia e gli investitori stranieri a credere in noi. 

Sono utili, infine, perché il sentiero di crescita economica da un lato e quello di riduzione del debito dall’altro dipendono interamente dal successo di tutta questa operazione. Perdere di vista questo obiettivo, preferire scommettere su una rendita elettorale mettendo a rischio la stabilità del governo, significa condannarsi a tornare su sentieri di crescita inferiori all’1%, una staticità su cui il nostro paese galleggia ormai dagli anni ‘90 del secolo scorso; e significa non riuscire a rispettare gli impegni sulla riduzione del rapporto tra debito e pil, con la conseguenza di dover pagare interessi più cari in futuro e di vedere ridotti gli spazi di deficit. Non è dunque la semplice carriera politica di un leader politico quella che si sta mettendo a rischio con questi screzi. E, a ben vedere, non sono nemmeno le - comunque più importanti - sorti del governo in carica: bensì quelle dell’intero paese. Se l’Italia è un’atleta che corre verso il traguardo, farle uno sgambetto, oggi, non è certo il modo migliorare di aiutarla. 

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