Giuseppe Roma
Giuseppe Roma

Pnrr, ultimo miglio/ La logica della ripresa e i patti territoriali

di Giuseppe Roma
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 21 Aprile 2021, 00:10

Siamo alla stretta finale per definire contenuti e modalità operative del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che, grazie alla rilevante mole di investimenti, potrebbe farci uscire dalle secche della pandemia e dare una scossa al sistema economico. All’Italia sono destinate tante risorse, ma resta nebuloso in che modo si trasformeranno concretamente in lavoro e benessere per gli italiani. 

Non manca la creatività nel confezionare progetti innovativi e individuare le sfide per accrescere la nostra competitività. Tuttavia sappiamo che il punto debole resta quello di scendere dai cieli delle idee sulla nuda terra dei risultati, individuando il percorso più idoneo e trasparente per realizzare opere e servizi in tempi ragionevoli. 

A quanto se ne sa, la governance del Piano, quindi la sua gestione operativa, è stata fin qui pensata seguendo una logica che va dall’alto verso il basso. Si prevede un coordinamento centrale di tipo interministeriale (alla Presidenza del Consiglio e al Cipes) con strutture amministrative per distribuire le risorse, valutare, controllare e rendicontare a Bruxelles. Alle Regioni ed enti locali verrebbero attribuite le responsabilità attuative, di sorveglianza e integrazione degli interventi nella programmazione ordinaria, funzioni da esercitare con l’aiuto delle società di assistenza tecnica, su cui in passato non sono mancate pesanti critiche.
A mitigare un modello di questo tipo - piramidale - verrebbero costituite task force locali a supporto di questa lunga catena di comando che da Palazzo Chigi dovrebbe atterrare nei gangli dell’economia reale e territoriale. 

Forse qualche correzione a questo modello verticale dovrebbe essere apportata, tenendo conto che simili procedure, applicate alla gestione dei fondi ordinari europei, non hanno prodotto risultati apprezzabili. Certo le operazioni di sistema potranno fruire della professionalità di grandi operatori pubblici e privati. Per le reti infrastrutturali, ferroviarie e stradali, protagonisti saranno Fs e Anas. Per energia, idrogeno e digitale non mancano grandi imprese pubbliche e private, i cui rappresentanti, peraltro, pochi giorni fa hanno incontrato il premier Draghi.

C’è però una parte dell’economia reale costituita da piccole e medie imprese diffuse nei territori, specie quelli più bisognosi di investimenti come il Mezzogiorno, che rischia di essere tagliata fuori o di essere confinata al sub-appalto.

Oltre alla realizzazione di grandi reti, un processo di modernizzazione non può prescindere dal ruolo attivo delle comunità, da una partecipazione e condivisione degli obiettivi da parte di un tessuto largo di imprese, istituzioni, professionisti, lavoratori. 

È questo un tassello quasi sempre mancante in Italia, causa di molti insuccessi delle politiche di sviluppo. Allora, le previste task force dovrebbero trasformarsi in organismi capaci di attivare le energie sociali e imprenditoriali, promuovendo una collaborazione attiva su obiettivi e responsabilità precise. Si potrebbe contare su un nuovo protagonismo dei corpi intermedi che, dopo anni critici, dimostrano una particolare sensibilità a passare da logiche esclusivamente rivendicative a impegni propositivi. 

Alla base dei successi nello sviluppo di alcune regioni italiane c’è proprio questa capacità di intesa fra industriali, artigiani, commercianti, sindacati ecc. finalizzata ad attuare patti per il lavoro, l’innovazione, la sostenibilità. Integrare una stringente logica programmatoria con patti territoriali costituisce la chiave in grado di dare corpo all’ “ultimo miglio” del Pnrr, quello decisivo. 

Con la condivisione fra istituzioni e organismi di rappresentanza, i progetti potranno essere più aderenti agli effettivi fabbisogni locali, verrebbero meno molti dei blocchi per conflitti d’interesse contrapposti e si ridurrebbero le possibili opposizioni dell’opinione pubblica. E con questo forse i funzionari sarebbero più sereni nel mettere le famose firme sulle pratiche autorizzative. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA